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La non cedibilità dell’autorizzazione amministrativa per l’esercizio dell’attività
Le autorizzazioni amministrative, relative allo svolgimento di determinate attività, hanno carattere personale e come tali non sono riconducibili ai beni...

Le autorizzazioni amministrative, relative allo svolgimento di determinate attività, hanno carattere personale e come tali non sono riconducibili ai beni che compongono l’azienda, né possono essere cedute. Pertanto, le espressioni con le quali, nei negozi relativi alla cessione di azienda, si dichiari che il venditore cede le relative licenze commerciali vanno intese nel senso più limitato dell’assunzione di un obbligo a rinunciare alle medesime e a non opporsi alla concessione di una nuova licenza in capo al nuovo titolare dell’azienda. La rinuncia all’autorizzazione amministrativa da parte del venditore, dunque, costituisce il mezzo per rendere possibile l’ottenimento dell’autorizzazione per il lecito esercizio dell’attività acquistata dall’acquirente.

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Il risarcimento del danno derivante da inadempimento del contratto di cessione di azienda e la quantificazione del danno emergente
L’inadempimento del contratto di cessione di azienda, dichiarato risolto ex art. 1453 c.c., può far sorgere, in capo alla parte...

L’inadempimento del contratto di cessione di azienda, dichiarato risolto ex art. 1453 c.c., può far sorgere, in capo alla parte non inadempiente, il diritto al risarcimento del danno secondo la disciplina della responsabilità contrattuale. Per la quantificazione del danno emergente, si può fare riferimento al valore attribuito convenzionalmente dalle parti all’azienda oggetto del contratto.

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Risoluzione per inadempimento del contratto di cessione d’azienda e ripartizione dell’onere probatorio
In materia di risoluzione del contratto di cessione di azienda per inadempimento ex art. 1453 c.c., spetta al creditore cedente...

In materia di risoluzione del contratto di cessione di azienda per inadempimento ex art. 1453 c.c., spetta al creditore cedente la dimostrazione della fonte negoziale o legale del proprio credito e, se previsto, del relativo termine di scadenza, nonché l’allegazione dell’inadempimento del cessionario; spetta, invece, al debitore cessionario provare il fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto.

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Abusivo ricorso al meccanismo simul stabunt simul cadent
La previsione statutaria della cessazione dell’intero consiglio di amministratore per effetto delle dimissioni di taluno dei suoi membri attribuisce all’esercizio...

La previsione statutaria della cessazione dell’intero consiglio di amministratore per effetto delle dimissioni di taluno dei suoi membri attribuisce all’esercizio da parte del singolo componente dell’organo amministrativo della facoltà di recedere liberamente dal mandato senza alcuna necessità di motivazione desumibile dall’art. 2385, co. 1, c.c. l’ulteriore effetto di determinare la decadenza immediata dell’organo gestorio con la funzione, non solo di conservare gli equilibri interni di composizione del consiglio originariamente voluti e cristallizzati nella delibera assembleare di nomina evitando in particolare l’alterazione che potrebbe derivare a danno della compagine di minoranza dall’applicazione del meccanismo della cooptazione, ma anche di fungere da stimolo alla coesione dell’organo gestorio poiché ciascun amministratore è consapevole che le dimissioni di uno o di alcuni degli altri determina la decadenza dell’intero consiglio e nel contempo può contribuire a quella decadenza quando in disaccordo con gli altri. La decadenza immediata dell’organo amministrativo conseguente alla legittima applicazione della clausola statutaria simul stabunt simul cadent non comporta a favore del componente non dimissionario alcun effetto indennitario o risarcitorio dal momento che la previsione conforma specificamente il mandato gestorio assunto da ciascun membro del consiglio di amministrazione con l’accettazione della carica.

La revoca dell’amministratore corrisponde, invece, a una facoltà discrezionale dell’assemblea dei soci, fondata sulla natura eminentemente fiduciaria dell’incarico, che può essere esercitata per determinare la cessazione immediata del rapporto gestorio anche a prescindere dal preavviso o dall’esistenza di una giusta causa salva, però, la necessità in questo caso di corrispondere all’amministratore il risarcimento del danno previsto dall’art. 2383 c.c., avente natura essenzialmente indennitaria in quanto connesso all’esercizio legittimo di una facoltà.

Quando in presenza della clausola statutaria simul stabunt simul cadent le dimissioni di taluni membri del consiglio di amministrazione siano preordinate esclusivamente a consentire poi all’assemblea dei soci di rinnovare l’organo amministrativo con l’esclusione del solo componente sgradito per sottrare la società all’obbligo di indennizzo connesso all’adozione diretta di una deliberazione assembleare di revoca senza giusta causa può configurarsi l’ abuso nell’esercizio delle facoltà spettanti ai componenti degli organi sociali coinvolti, fonte dell’obbligo della società di risarcire il danno subito dal componente non dimissionario illegittimamente privato della prestazione indennitaria. Il complesso onere probatorio gravante sull’amministratore che deduce l’uso distorto del meccanismo decadenziale concerne, quindi, un vero e proprio procedimento elusivo costituito dalla concatenazione concertata di atti negoziali e comportamenti riferibili a componenti di organi sociali diversi volti a convergere sull’unico scopo della realizzazione di un effetto equivalente alla revoca ingiustificata senza indennizzo dell’amministratore.

La configurabilità della fattispecie procedimentale dell’abuso in questione presuppone, in particolare: (i) l’esercizio strumentale della facoltà di dimissioni da parte di taluni componenti del consiglio di amministrazione con il solo scopo di provocare la decadenza immediata dell’organo in vista della programmata esclusione da parte dell’assemblea convocata per il rinnovo dell’organo del solo componente sgradito; (ii) la rinnovazione da parte dell’assemblea dei soci dell’incarico a tutti gli altri membri del consiglio con esclusione del solo componente non dimissionario; (iii) il collegamento oggettivo e soggettivo tra le dimissioni dei consiglieri che hanno perfezionato la fattispecie statutaria della decadenza dell’intero consiglio di amministrazione e la successiva immediata nomina da parte dell’assemblea del nuovo consiglio di amministrazione composto da tutti i membri precedenti escluso quello non più gradito, connotato dall’esclusivo intento di ottenere la sua estromissione senza indennizzo dall’organo gestorio.

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Sulla legittimazione dell’ex socio ad impugnare la delibera assembleare di s.r.l.
In tema di operazioni sul capitale sociale, la perdita della qualità di socio in capo a chi non abbia sottoscritto...

In tema di operazioni sul capitale sociale, la perdita della qualità di socio in capo a chi non abbia sottoscritto la propria quota di ricostituzione del capitale sociale non incide sulla legittimazione ad esperire le azioni di annullamento e di nullità della deliberazione assembleare adottata ex art. 2447 o 2482 c.c., che rimane inalterata, in quanto sarebbe logicamente incongruo, oltre che in contrasto con il principio di cui all’art. 24, comma 1, Cost., ritenere come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’istante assume essere "contra legem" e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.

La perdita della qualità di socio non vale, quindi, a determinare il difetto di legittimazione ad impugnare la delibera dell’assemblea dei soci che si assume invalida e da cui la perdita dello status di socio sia derivata e tale legittimazione si estende anche all’impugnazione contestuale di deliberazioni antecedenti relative all’approvazione di bilanci precedenti affetti da vizi tali da incidere anche sulla situazione patrimoniale che ha evidenziato l’integrale perdita del capitale sociale della società.

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Criteri di imputazione dei finanziamenti soci
Il fatto che il finanziamento provenga da una società interamente partecipata dal socio non consente di per sé di imputarlo...

Il fatto che il finanziamento provenga da una società interamente partecipata dal socio non consente di per sé di imputarlo al socio: anche la società a socio unico, infatti, è soggetto distinto dal socio, dotato di piena autonomia patrimoniale, che non imputa affatto al socio gli effetti della propria attività negoziale in mancanza di elementi che consentano in modo inequivoco di affermare che le sia stata da lui delegata.

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Inammissibilità della domanda di accertamento della legittimità della delibera di esclusione del socio di cooperativa
L’interesse ad agire, costituendo una condizione per far valere il diritto sotteso mediante l’azione, si identifica nell’esigenza di ottenere un...

L’interesse ad agire, costituendo una condizione per far valere il diritto sotteso mediante l'azione, si identifica nell'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice. In particolare, nell'azione di mero accertamento esso presuppone uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza di un rapporto giuridico, tale da arrecare all'interessato un pregiudizio concreto e attuale, che si sostanzia in un'illegittima situazione di fatto continuativa. L’interesse ad agire che connota l’azione di accertamento presuppone, dunque, la violazione del diritto vantato dall’attore mediante la contestazione del convenuto che minando la certezza della sua esistenza arreca concreto pregiudizio al suo titolare.

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Sulla derogabilità del compromesso e sulla non rilevabilità d’ufficio della eccezione di arbitrato
Il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti, la quale soltanto consente di derogare al...

Il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti, la quale soltanto consente di derogare al precetto contenuto nell'art. 102 Cost., costituendo uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all'art. 24, co. 1, Cost., con la conseguente esclusione della possibilità d'individuare la fonte dell'arbitrato in una volontà autoritativa e la necessità di attribuire alla norma di cui all'art. 806 c.p.c. il carattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell'ordinamento. Se è la volontà delle parti a costituire l'unico fondamento della competenza degli arbitri, deve necessariamente riconoscersi che le parti, così come possono scegliere di sottoporre la controversia agli stessi anziché al giudice ordinario, possono anche optare per una decisione da parte di quest'ultimo, non solo espressamente, mediante un accordo uguale e contrario a quello raggiunto con il compromesso, ma anche tacitamente, attraverso l'adozione di condotte processuali convergenti verso l'esclusione della competenza arbitrale e, segnatamente, mediante l'introduzione del giudizio in via ordinaria, alla quale faccia riscontro la mancata proposizione dell'eccezione di arbitrato. Dal momento che il compromesso in arbitrato o la clausola compromissoria possono essere derogate dalle parti anche tacitamente, l’eccezione di arbitrato, in ragione della presenza di una clausola compromissoria nello statuto sociale, deve intendersi quale eccezione di parte in senso stretto e come tale non rilevabile d’ufficio dal giudice, essendo dunque subordinata la dichiarazione di incompetenza alla proposizione della relativa eccezione da parte del convenuto.

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Ambito applicativo della clausola compromissoria statutaria
L’impugnazione della delibera di messa in liquidazione della società ex art. 2484, n. 6, c.c. e l’azione di responsabilità sociale...

L’impugnazione della delibera di messa in liquidazione della società ex art. 2484, n. 6, c.c. e l’azione di responsabilità sociale hanno ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale e sono, pertanto, compromettibili in arbitri. Si tratta, infatti, di domande inerenti a controversie sorte tra i soci, ovvero fra i soci e la società, che non coinvolgono alcun interesse di natura pubblicistica, ma esclusivamente l’interesse dei soci e della società al corretto e ordinato svolgimento dell’attività dell’ente. La delibera di messa in liquidazione della società, d'altra parte, è autonoma e successiva rispetto a quella di approvazione di bilancio, che costituisce un documento con funzioni informative rispetto al quale è ravvisabile un interesse dei terzi alla veridicità, chiarezza e completezza dei dati in esso contenuti, la cui impugnazione non è demandabile alla competenza degli arbitri.

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La responsabilità dell’amministratore di s.a.s.
La disciplina della società di persone, richiamata per le società in accomandita attraverso il rinvio dell’art. 2315 c.c., prevede all’art....

La disciplina della società di persone, richiamata per le società in accomandita attraverso il rinvio dell’art. 2315 c.c., prevede all’art. 2260 comma 2 c.c. solo l’azione di responsabilità sociale, esperibile dalla società nei confronti degli amministratori per ottenere il risarcimento del danno arrecato al patrimonio sociale dall’inadempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale. In coerenza con la mancanza di autonomia patrimoniale perfetta delle società di persone e con il regime generale di responsabilità personale dei soci per i debiti sociali non è, invece, prevista l’azione dei creditori sociali nei confronti degli amministratori, che sono di norma anche soci illimitatamente responsabili, già esposti direttamente con il loro patrimonio nei confronti dei creditori sociali. Né è possibile l’applicazione analogica dell’art. 2394 c.c., norma di carattere speciale che, in deroga ai principi generali della responsabilità aquiliana, consente ai creditori, nel contesto di limitazione al patrimonio sociale della responsabilità per i debiti sociali delle società di capitali, di ottenere il risarcimento del danno subito per effetto dell’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare le loro pretese che solo indirettamente lambisce la loro sfera giuridica.

L’unica azione che può coesistere con l’azione di responsabilità sociale nelle società di persone è l’azione individuale del socio o del terzo direttamente danneggiati dal comportamento illegittimo del socio amministratore che, in applicazione analogica dell’art. 2395 c.c. fondato sul principio generale del neminem laedere dell’art. 2043 c.c., esige, però, la deduzione e prova di un pregiudizio che non sia il mero riflesso del danno subito dal patrimonio sociale. L’esercizio dell’azione individuale del terzo danneggiato non è, quindi, esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l'art. 2395 c.c. esige che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell'amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società.

Una volta che la società abbia analiticamente individuato i prelievi e pagamenti privi di giustificazione in relazione all’attività sociale grava sull’amministratore, equiparato nella società di persone al mandatario e quindi legato all’ente da rapporto contrattuale, l’onere di fornire la prova liberatoria dalla responsabilità per l’inadempimento degli obblighi derivanti dalla carica, ai sensi dell’art. 1218 c.c., dimostrando attraverso le scritture contabili giustificative o con altra adeguata evidenza probatoria che il denaro sociale oggetto dei prelievi e pagamenti contestati era stato impiegato per saldare debiti della società o sostenere i costi dell’attività di impresa.

La configurabilità del ruolo dell’amministratore di fatto nella s.a.s. prescinde dalla soluzione della dibattuta questione della possibilità che un terzo estraneo alla compagine sociale assuma formalmente il ruolo di amministratore che l’art. 2318, co. 2, c.c. riserva esclusivamente ai soci accomandatari illimitatamente responsabili per le obbligazioni assunte nella gestione sociale, ma che l’art. 2323, co. 2, c.c. permette sia svolto da un amministratore provvisorio ove siano rimasti solo soci accomandanti, così slegando l’esercizio dei poteri gestori dalla responsabilità personale del socio.  Il soggetto estraneo alla compagine sociale che in via di fatto si arroghi i poteri gestori spettanti al socio accomandatario amministratore è, infatti, senza alcun dubbio tenuto a rispondere nei confronti della società, dei soci e degli eventuali terzi danneggiati della gestione del patrimonio altrui compiuta in assenza di investitura formale, indipendentemente dal fatto che gli si riconosca o meno la possibilità di rivestire formalmente la carica in relazione alla struttura specifica della società amministrata.

La figura dell’amministratore di fatto presuppone l’esercizio di attività di gestione dell’impresa continuativa e sistematica con autonomia decisionale e funzioni operative esterne di rappresentanza di cui sono indici sintomatici l’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive nei rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti attraverso il conferimento di deleghe o di ampie procure generali ad negotia in settori nevralgici dell’attività di impresa e la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria nell’inerzia costante e nell’assenza abituale dell’amministratore di diritto.

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Nullità degli atti compiuti dagli organi della procedura di liquidazione del patrimonio del sovraindebitato
Il controllo di validità degli atti del procedimento concorsuale spetta agli organi della procedura da sovraindebitamento ex artt. 26 e...

Il controllo di validità degli atti del procedimento concorsuale spetta agli organi della procedura da sovraindebitamento ex artt. 26 e 36 l.fall., norme applicabili anche alle procedure ex l. 3/2012, esprimendo un principio di portata generale nell’ambito delle procedure concorsuali dirette da un giudice; il controllo è endo-procedimentale e non è ammissibile un controllo/riesame delle medesime questioni in via giudiziale autonoma.

La nullità di una vendita, effetto della collusione tra l’aggiudicatario e gli organi della procedura, può essere fatta valere mediante l’introduzione di azione autonoma successiva alla collusione nel procedimento esecutivo se gli atti di vendita sono esenti da vizi formali e se l’attore prova di aver avuto conoscenza della collusione dopo la chiusura della procedura esecutiva, dovendo, altrimenti, il vizio essere fatto valere mediante gli strumenti tipici endo-procedimentali di impugnazione degli atti esecutivi o della procedura concorsuale. Inoltre, la regola contenuta nell'art. 2929 c.c., secondo cui la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita e l'assegnazione non ha effetto riguardo all'acquirente o all'assegnatario, non è applicabile alle nullità che riguardino proprio la vendita o l'assegnazione, cioè quando si tratti di vizi che direttamente le concernono ovvero ad esse obbligatoriamente prodromici.

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Lesione dell’affidamento incolpevole nella legittimità del provvedimento amministrativo ampliativo e giurisdizione
L’azione risarcitoria proposta dal privato per ottenere il risarcimento del danno subito in conseguenza della lesione dell’affidamento incolpevolmente riposto nella...

L’azione risarcitoria proposta dal privato per ottenere il risarcimento del danno subito in conseguenza della lesione dell’affidamento incolpevolmente riposto nella stabilità del provvedimento amministrativo illegittimo ampliativo della sua sfera giuridica, provvedimento poi annullato dalla pubblica amministrazione in autotutela, è soggetta alla giurisdizione del giudice ordinario, e ciò anche in relazione alle controversie risarcitorie che traggano origine dalla caducazione di provvedimenti ampliativi della sfera giuridica del privato adottati in materie soggette alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

La lesione dell’affidamento incolpevole nella legittimità del provvedimento amministrativo ampliativo poi annullato si traduce nella lesione del diritto soggettivo all’autodeterminazione negoziale del privato, indotto da uno specifico comportamento contrario alle regole generali di correttezza e buona fede tenuto dalla pubblica amministrazione nel frangente a confidare nella stabilità del provvedimento amministrativo illegittimo e a orientare le sue scelte negoziali e imprenditoriali in modo tale da sostenere costi e investimenti che si riveleranno inutili con l’annullamento. Il diritto al risarcimento del danno derivante dalla delusione dell’affidamento incolpevole nella stabilità del provvedimento amministrativo ampliativo poi annullato non deriva né direttamente né indirettamente dalla sua illegittimità o dall’illegittimità del provvedimento di annullamento, ma solo dall’ulteriore comportamento contrario a correttezza e buona fede tenuto dalla pubblica amministrazione nel frangente ed esula, quindi, dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo che, a fini di concentrazione della tutela demolitoria e risarcitoria in materie tassativamente determinate, riconosce al giudice amministrativo la cognizione in materia dei soli diritti soggettivi incisi nell’esercizio illegittimo del potere autoritativo. [Nel caso di specie, il Tribunale di Milano ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario in un caso riguardante la richiesta, da parte una società a responsabilità limitata cessionaria dei crediti e dei diritti vantati da un Fondo comune di investimento immobiliare chiuso in relazione ad un'operazione immobiliare programmata su una vasta area sita in un Comune italiano, di risarcimento del danno per violazione degli artt. 1175, 1375 e 2043 c.c. a carico del Comune, per avere quest'ultimo dapprima approvato il Piano Integrato di Intervento (c.d. PII) e, dopo cinque anni, parzialmente annullato in autotutela la delibera di approvazione del PII, rilevandone l’illegittimità originaria per la violazione della normativa urbanistica vigente in materia].

Con riguardo all’individuazione del dies a quo della decorrenza del termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, deve in ogni caso rilevarsi che la perdita patrimoniale del privato corrispondente al danno ingiusto si verifica contestualmente all’annullamento da parte della pubblica amministrazione del provvedimento ampliativo illegittimo ed è da questo momento che diviene obiettivamente percepibile e, in una certa misura, anche irreversibile la perdita patrimoniale connessa all’inutilità delle spese o degli investimenti sostenuti dal privato per l’avvio o la realizzazione delle opere o delle attività illegittimamente autorizzate.

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