In tema di contraffazione di marchio registrato, ai fini dell’applicabilità da parte del legittimato della tutela offerta dell’art. 20 c.p.i. è necessario che la contraffazione abbia avuto riguardo ad un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, laddove a causa della identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. [Nel caso di specie, il Tribunale di Napoli rigetta la domanda di parte attrice giudicando non confondibili i prodotti contrassegnati dai marchi oggetto di causa, trattandosi nel caso di specie di un prodotto farmaceutico mutuabile venduto dietro ricetta medica e un integratore alimentare, a nulla rilevando che i marchi siano registrati per la medesima classe atteso che la ripartizione dei prodotti in classi merceologiche ha mera valenza di carattere amministrativo e non può spiegare effetti nella valutazione di affinità dei prodotti stessi.]
L’oggetto dell’accertamento dell’intesa anticoncorrenziale relativo allo schema ABI è costituito dalle condizioni generali della fideiussione c.d. omnibus, ossia di quella particolare garanzia personale di natura obbligatoria, in uso nei rapporti bancari, che per effetto della c.d. clausola estensiva impone al fideiussore il pagamento di tutti i debiti, presenti e futuri, che il debitore ha assunto entro un limite massimo determinato, ai sensi dell’art. 1938, c.c. Ove sussistano tali presupposti, si potrà invocare la natura di prova privilegiata del provvedimento della Banca d’Italia e porla a fondamento della tutela richiesta. La prova privilegiata non potrà trovare applicazione per le fideiussioni specifiche, poiché costituenti una garanzia limitata alle rispettive linee di credito e non poste a garanzia di tutti i debiti presenti e futuri assunti dal debitore.
Diversamente dal sequestro conservativo di cui all’art. 671 c.p.c., vòlto a garantire l'operatività della generica garanzia patrimoniale del debitore ex art. 2740, comma primo c.c., l’emissione di un provvedimento di sequestro giudiziario è finalizzata ad assicurare l'utilità pratica di un futuro provvedimento decisorio nonché la sua fruttuosità in sede di esecuzione forzata, mediante la consegna od il rilascio dei beni sui quali, dunque, è posto il vincolo.
I presupposti per la concessione di un sequestro giudiziario sono individuati:
In relazione al fumus boni iuris, la misura cautelare deve essere riferita, non soltanto ai c.d. iura in re, ossia alle azioni nelle quali ciascuna delle parti si affermi titolare di un diritto reale sul bene, ma, altresì, alle azioni relative ai c.d. iura ad rem, ossia quelle azioni in cui l'attribuzione della proprietà costituisce conseguenza della decisione del giudice su un rapporto di natura obbligatoria. Inoltre, con riferimento al requisito della controversia sul possesso, alle azioni di carattere personale volte alla restituzione della cosa detenuta dal convenuto. Pertanto, devono essere annoverate tra le controversie sulla proprietà o sul possesso anche le vertenze su di un diritto personale, avente ad oggetto la pretesa alla restituzione di cose detenute da altri soggetti, ossia quando debba decidersi in ordine ad un’azione personale che comporti una decisione su detta pretesa.
Con specifico riferimento al periculum in mora, detta condizione non costituisce presupposto indefettibile per la concessione del sequestro giudiziale, atteso che il medesimo art. 670 c.p.c. richiede ai fini della concessione della misura semplicemente ragioni che rendano opportuna la custodia del bene controverso.
Qualora venga dedotto a fondamento della condizione del fumus bonis iuris l’esistenza della verosimiglianza di un diritto ad ottenere la rescissione di un contratto, mediante l’esperimento dell’azione di rescissione per lesione di cui all’art. 1448 c.c. in sede di cognizione ordinaria, devono essere adeguatamente provati i requisiti:
Detti requisiti, legittimanti l’azione rescissoria per lesione di cui all’art. 1448 c.c., devono sussistere tutti simultaneamente. Di tal che, una volta riscontrata la mancanza o la mancata dimostrazione dell’esistenza di uno dei tre elementi, diviene superflua l’indagine circa la sussistenza degli altri due.
I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a), l. 287 del 1990 e 101 TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, co. 3, della legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti. Dunque, ai fini di una declaratoria di nullità totale della fideiussione omnibus, incombe sulla parte istante la dimostrazione che i contraenti non avrebbero concluso il contratto in difetto di tali clausole.
Il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia può considerarsi prova presuntiva tanto della condotta anticoncorrenziale quanto dell’astratta idoneità a procurare un danno ai consumatori solo nel caso in cui il contratto di fideiussione sia stato concluso e sottoscritto nell’arco temporale ricompreso nell’attività d’indagine svolta dall’Autorità di vigilanza (la cui istruttoria è compresa tra il 2002 e il 2005). In tale ipotesi, infatti, l’onere della prova incombente sul fideiussore risulta parzialmente attenuato; viceversa, ove non sia ricompreso, la parte istante è onerata dell’allegazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie d’illecito concorrenziale dedotto in giudizio, di cui all’art. 2 l. 287 del 1990.
La mera presenza nel regolamento contrattuale di una clausola di pagamento a prima richiesta non ha rilievo decisivo per la qualificazione di un negozio come contratto autonomo di garanzia o come fideiussione, potendo tali espressioni riferirsi sia a forme di garanzia svincolate dal rapporto garantito (e quindi autonome), sia a garanzie, come quelle fideiussorie, caratterizzate da un vincolo di accessorietà, più o meno accentuato, nei riguardi dell’obbligazione garantita. Per poter configurare un negozio fideiussorio come contratto autonomo di garanzia, è necessario che dal contratto emerga la volontà dei contraenti di rendere autonoma la garanzia, imponendo al garante non solo di pagare immediatamente, ma anche di non sollevare in modo assoluto – anche in un secondo momento – eccezioni. Sebbene l’inserimento dell’inciso “a semplice richiesta” possa, in astratto, essere un indice della volontà delle parti di elidere il nesso di accessorietà tipico della fideiussione, al fine di operare una più corretta qualificazione giuridica dell’impegno assunto dal garante è necessario esaminare l’intero contesto delle pattuizioni.
In tema di accertamento dell’esistenza di intese restrittive della concorrenza vietate dall’art. 2 della l. n. 287/1990 e con particolare riguardo alle clausole relative a contratti di fideiussione da parte delle banche, il provvedimento della Banca di Italia di accertamento dell’infrazione, adottato prima delle modifiche apportate dall’art. 19, co. 11, l. n. 262/2005, possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano in esso pronunciate. Il giudice di merito è, quindi, tenuto, per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all’attuazione o meno della prescrizione contenuta nel menzionato provvedimento, con cui è stato imposto dall’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario.
Con riferimento alle fideiussioni omnibus, laddove sia accertato che le clausole del contratto siano l’estrinsecazione di un’intesa illecita ex art. 2 l. n. 287/1990, può configurarsi, oltre al rimedio del risarcimento del danno, anche quello civilistico della nullità speciale, posta – attraverso le previsioni di cui agli artt. 101 TFUE e 2, co. 2, l. 287/1990 – a presidio di un interesse pubblico e, in specie, dell’ordine pubblico economico; dunque, nullità ulteriore a quella che il sistema già conosceva. In tal senso depone la considerazione che siffatta forma di nullità ha una portata più ampia della nullità codicistica (art. 1418 c.c.) e delle altre nullità conosciute dall’ordinamento – come la “nullità di protezione” nei contratti del consumatore (c.d. secondo contratto) e la nullità nei rapporti tra imprese (c.d. terzo contratto) – in quanto colpisce anche atti, o combinazione di atti avvinti da un nesso funzionale, non tutti riconducibili alle suindicate fattispecie di natura contrattuale. La ratio di tale speciale regime è tale da ravvisarsi nell’esigenza di salvaguardia dell’ordine pubblico economico, a presidio del quale sono state dettate le norme imperative nazionali ed europee antitrust.
Tra l’intesa a monte e la fideiussione bancaria a valle si configura un collegamento funzionale, alla cui stregua la stipula di tali atti può essere individuata come un’operazione unitaria tesa alla violazione della normativa antitrust nazionale ed europea. In tal guisa, l’art. 2, co. 3, l. 287/1990, statuisce che le intese vietate sono nulle ad ogni effetto, così comprendendo anche i contratti che conferiscono concreta attuazione all’intesa vietata.
I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a), l. 287 del 1990 e 101 TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, co. 3, della legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.
L’oggetto dell’accertamento – sfociato poi nell’adozione del provvedimento 55/2005 – con cui Banca d’Italia ha accertato l’uniforme applicazione, da parte delle banche aderenti all’associazione ABI, di un modello di contratto standardizzato, da questa associazione predisposto, contenente, fra le altre, tre clausole ritenute violative della concorrenza risulta circoscritto alle condizioni generali delle fideiussioni omnibus, con ciò intendendosi quella particolare garanzia di natura obbligatoria, in uso nei rapporti bancari, che per effetto della c.d. clausola estensiva impone al fideiussore il pagamento di tutti i debiti presenti e futuri che il debitore ha assunto entro un limite massimo predeterminato ai sensi dell’art. 1938 c.c.
Sono nulli i contratti di fideiussioni omnibus a valle solo limitatamente alle clausole riproduttive dello schema illecito a monte, poiché adottato in violazione della normativa – nazionale ed eurounitaria – antitrust, a meno che non risulti comprovata agli atti una diversa volontà delle parti, nel senso dell’essenzialità – per l’assetto di interessi divisato – della parte del contratto colpita da nullità.
Ai sensi dell’art. 2476 c.c., gli amministratori rispondono verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, ovvero per non aver osservato, nell’adempimento di tali doveri, la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.
Nonostante i doveri degli amministratori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, essi possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.
L’individuazione della figura del c.d. amministratore di fatto presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. La corretta individuazione della figura richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni; l’influenza dell’amministratore di fatto si deve tradurre, per essere rilevante, nell’ingerenza concreta nella gestione sociale che abbia il carattere della sistematicità.
L’azione proposta ex art. 2395 c.c. ha natura extracontrattuale e ne ricorrono i presupposti quando vi è la prova di una condotta dolosa o colposa posta in essere in violazione degli obblighi previsti dalla legge o dallo statuto, di un pregiudizio diretto ed immediato al patrimonio individuale del socio o del terzo e della sussistenza di un nesso di causalità tra condotte e pregiudizio.
L’azione di responsabilità dei creditori sociali ex art. 2394 c.c. si propone di tutelare l’integrità del patrimonio sociale, in relazione all’obbligo della sua conservazione; essa riveste natura di azione aquiliana ex art. 2043 c.c. in cui il danno ingiusto è integrato dalla lesione dell’aspettativa di prestazione dei creditori sociali, a garanzia della quale è posto il patrimonio della società, trovando così fondamento nel principio generale della tutela extracontrattuale del credito di cui agli artt. 2740 e 2043 c.c.
Tra gli obblighi esistenti in capo all’amministratore vi sono sicuramente quelli di tutelare il patrimonio sociale e conservare, con esso, la garanzia di soddisfazione dei creditori. Affinché vi possa essere risarcimento per comportamento illegittimo dell’amministratore, occorre tuttavia che sia provata non solo l’illiceità del comportamento, ma anche la conseguenza dannosa che da questa discende, in modo causalmente connesso.
La responsabilità dell’amministratore va ricostruita secondo lo schema tipico della responsabilità da inadempimento contrattuale. Tra gli obblighi esistenti in capo all’amministratore vi sono sicuramente quelli di tutelare il patrimonio sociale. Affinché vi possa essere risarcimento per comportamento illegittimo dell’amministratore, occorre che sia provata non solo l’illiceità del comportamento, ma anche la conseguenza dannosa che da questa discende, in modo causalmente connesso e, quindi, che una volta individuati i comportamenti violativi degli obblighi di legge e di statuto, che siano addebitabili agli organi gestori, sia dedotto e provato che gli stessi abbiano arrecato un danno al patrimonio sociale (e quello conseguente alle aspettative dei creditori) e che tra condotta illecita e pregiudizi patrimoniali sussista un nesso causale.
Un contratto è qualificabile quale fideiussione omnibus e non come garanzia autonoma in presenza di elementi quali, il fatto che a) la fideiussione è stata ricevuta da una banca (fideiussione attiva), mentre quella autonoma vede la stessa banca nel ruolo di garante (fideiussione passiva); b) la fideiussione concerne obbligazioni future, mentre la garanzia autonoma dovrebbe accedere ad obbligazioni contestuali all’assunzione della garanzia; c) la garanzia autonoma nei rapporti garante-debitore principale ha un carattere necessariamente oneroso, a differenza del carattere gratuito della fideiussione acclusa agli atti, non potendosi evincere per essa alcuna onerosità.