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Esclusione del socio di società in accomandita semplice
Nelle società di persone composte da due soli soci, l’esclusione di uno di essi deve essere pronunciata dal Tribunale, il...

Nelle società di persone composte da due soli soci, l’esclusione di uno di essi deve essere pronunciata dal Tribunale, il quale può intervenire anche in via cautelare. Presupposto dell'esclusione è che il socio sia reso responsabile di gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge e dallo statuto (art. 2286 c.c.). A  tal fine, possono essere certamente valorizzati anche i comportamenti che il socio tiene quale amministratore, che devono però essere valutati con maggior rigore rispetto a quanto richiesto dall’art. 2259 c.c. per la mera revoca della facoltà di amministrare.

 

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Atti di concorrenza sleale e sviamento di clientela: condotte indebite e indici sintomatici di illiceità
Il passaggio di dipendenti da un’impresa ad un’altra non è di per sé solo elemento sufficiente ad integrare l’ipotesi di...

Il passaggio di dipendenti da un’impresa ad un’altra non è di per sé solo elemento sufficiente ad integrare l’ipotesi di cui all’art. 2598 n. 3 c.c., costituendo espressione dei principi di rilevanza costituzionale di libera circolazione del lavoro (artt. 4 e 36 Cost.) e di libertà d'iniziativa economica (art. 41 Cost.). La condotta di storno di dipendenti è illecita solo se attuata con l’intento di disgregare l’altrui organizzazione produttiva, ossia se connotata da animus nocendi, che deve essere desunto da elementi oggettivi e posta in essere con modalità del tutto inconciliabili con i principi di correttezza professionale, se non supponendo in capo all'autore il proponimento di arrecare un serio danno al grado di competitività dell’impresa stornata concorrente, disgregando in modo traumatico l'efficienza dell'organizzazione aziendale del competitore e procurandosi un vantaggio competitivo indebito.

Costituiscono indici sintomatici dell’illecito di atti di concorrenza sleale ex art. 2598 n.3 c.c.: 1) la quantità dei soggetti stornati; 2) la portata dell’organizzazione complessiva dell’impresa concorrente; 3) la posizione ricoperta dai dipendenti stornati, in ragione delle mansioni svolte e del loro grado di specializzazione; 4) la non facile e tempestiva sostituibilità dei lavoratori; 5) l’induzione a violare l’obbligo di fedeltà e di non concorrenza; 6) l’idoneità di tale atto a compromettere lo svolgimento ordinario dell’attività concorrente; 7) l’utilizzo di mezzi contrari alla correttezza professionale (tra i quali il compimento di attività denigratorie o la sottrazione di dati riservati).

Lo sviamento di clientela, posto in essere utilizzando notizie sui rapporti con i clienti di altro imprenditore, acquisite nel corso di una pregressa attività lavorativa svolta alle dipendenze di quest'ultimo, costituisce condotta anticoncorrenziale, ove trattasi di notizie che, sebbene normalmente accessibili ai dipendenti, non siano destinate ad essere divulgate al di fuori dell'azienda, quando dal loro impiego consegua un indebito vantaggio competitivo, a prescindere che esse siano dotate dei requisiti di cui agli artt. 98 e 99 cpi. È comunque necessario che si sia in presenza di un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, seppur non segretati e protetti, che superino la capacità mnemonica e l'esperienza del singolo normale individuo e che configurino così una banca dati che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito.

La sottrazione di informazioni, ove provata, integrerebbe un illecito concorrenziale, laddove si tratti di informazioni che superano la capacità mnemonica del singolo agente e che garantiscono un vantaggio competitivo, in quanto consentono di proporre ai clienti offerte tempestive e personalizzate, modellate sulle specifiche esigenze di questi ultimi.

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Concorrenza sleale confusoria e parassitaria: presupposti, limiti e tutela dell’originalità imprenditoriale
La concorrenza sleale confusoria ricorre soltanto laddove gli elementi che siano asseritamente ripresi abbiano comunque un carattere sufficientemente distintivo, ossia...

La concorrenza sleale confusoria ricorre soltanto laddove gli elementi che siano asseritamente ripresi abbiano comunque un carattere sufficientemente distintivo, ossia consentano al consumatore di associare il prodotto o il servizio contraddistinto dal segno distintivo all'imprenditore che lo utilizza.

Quanto alla configurabilità della concorrenza sleale parassitaria, tale fattispecie consiste in un continuo e sistematico operare sulle orme dell'imprenditore concorrente, mediante l'imitazione non  tanto dei  prodotti,  quanto  piuttosto  di  rilevanti  iniziative imprenditoriali di quest'ultimo, in un contesto temporale prossimo all'ideazione dell'opera, in quanto effettuata a breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del concorrente [c.d. concorrenza parassitaria diacronica] o dall'ultima e più significativa di esse [c.d. concorrenza parassitaria sincronica], laddove per "breve" deve intendersi quell'arco di tempo per tutta la durata del quale l'imprenditore che ha ideato la nuova iniziativa ha ragione di attendersi utilità particolari - ad es. in tema di incassi, di pubblicità, di avviamento - dal lancio della novità, ovvero fino a quando tale iniziativa viene considerata tale dai clienti e si impone, quindi, alla loro attenzione nella scelta del prodotto.

La creatività, infatti, è tutelata dall'ordinamento solo per un tempo determinato, ossia fino a quando l'iniziativa può considerarsi originale, e il connotato dell'originalità può dirsi venuto meno nel momento in cui quel determinato modo di produrre e/ o di commerciare sia divenuto patrimonio ormai comune di conoscenze e di esperienze di quanti operano nel settore e dunque il capitale impiegato nello sforzo creativo da parte dell'imprenditore che ha primariamente ideato l'iniziativa si può dire, secondo l'id quom plemmque accidit ammortizzato. L'imitazione di un'attività, dunque, che al momento in cui è sorta e si è successivamente formata era originale ma che poi si è generalizzata e spersonalizzata non è costituisce più un atto contrario alla correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda. Le condotte parassitarie sono, pertanto, illecite in quanto costituiscono uno sfruttamento sistematico delle idee, dei mezzi di ricerca e finanziari e - più in generale - degli sforzi altrui per attrarre la clientela e conquistare una fetta di mercato.

 

 

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Operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale in assenza di delibera assembleare
Nel caso di decisione assunta dall’organo amministrativo in violazione dei limiti posti dall’art. 2479, 2° comma, n. 5, c.c., ciò...

Nel caso di decisione assunta dall’organo amministrativo in violazione dei limiti posti dall'art. 2479, 2° comma, n. 5, c.c., ciò che si verifica non è tanto l'invalidità dell'atto concluso in assenza della delibera assembleare, bensì un'ipotesi di eccedenza dei poteri rappresentativi potenzialmente idonea a dare luogo all' inefficacia ed all'opponibilità dell'atto medesimo ai terzi contraenti. Unico soggetto legittimato ad eccepire la  violazione dei limiti legali ai poteri di rappresentanza  è dunque  la società, alla quale deve correlativamente essere riconosciuto il potere di assumere "ex tunc" gli effetti dell'atto, attraverso la ratifica, ovvero di farli preventivamente propri, attraverso una delibera autorizzativa, capace di rimuovere i limiti del potere rappresentativo dell'amministratore. Ne consegue il difetto di legittimazione ad agire in capo al singolo socio che intenda ottenere il sequestro dei beni oggetto dell’operazione negoziale viziata, posto che il socio riveste, rispetto a tale negozio, la posizione di terzo e non può dunque far valere la violazione dei limiti legali ai poteri di rappresentanza riservata esclusivamente alla società.

 

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Vincoli su quota di S.r.l.: pignoramento e sequestro conservativo
Nel sequestro conservativo la norma generale che detta le modalità di esecuzione è l’art. 678 c.p.c., secondo cui “il sequestro...

Nel sequestro conservativo la norma generale che detta le modalità di esecuzione è l’art. 678 c.p.c., secondo cui “il sequestro conservativo sui mobili e sui crediti si esegue secondo le norme stabilite per il pignoramento presso il debitore o presso terzi”. Qualora il sequestro debba essere eseguito su partecipazioni di s.r.l. la norma che viene in rilievo è, dunque, l'art. 2471 c.c., che regola specificamente il pignoramento di quote di s.r.l. prevedendo che “il pignoramento si esegue mediante notificazione al debitore e alla società e successiva iscrizione nel registro delle imprese”.
Con l'art. 2471 c.c. il legislatore ha attribuito al pignoramento di quote di s.r.l. la forma di pignoramento "documentale", che poggia sul presupposto teorico rappresentato dalla qualificazione della quota di partecipazione in una s.r.l. come un bene immateriale iscritto in un pubblico registro, da ciò facendo derivare la tipologia di espropriazione da attuare, non alternativa ma diversa e sola corretta rispetto alla forma del pignoramento presso terzi, che in precedenza veniva, invece, ritenuto doversi seguire tanto nella esecuzione del pignoramento quanto nella esecuzione del sequestro di quote di s.r.l.. A differenza della esecuzione del pignoramento, l'attuazione del sequestro conservativo avviene sulla base di un provvedimento già perfezionato, nel contraddittorio tra le parti, con la conseguenza che, mentre non può prescindersi dalla iscrizione del sequestro nel Registro (cfr. per analogia art. 679 c.p.c.), non altrettanto può dirsi per la notifica prescritta dall'art. 2471 cc, che vale a produrre il vincolo di indisponibilità, il quale ad ogni modo è opponibile al debitore sin dalla pronuncia del provvedimento autorizzativo, se avvenuta in udienza, o dalla comunicazione del provvedimento stesso. Le medesime considerazioni valgono per la notifica alla società ove questa sia stata parte del procedimento cautelare. L’iscrizione del vincolo nel Registro delle Imprese costituisce l'unica formalità necessaria al perfezionamento del vincolo finalizzata a garantire l’opponibilità ai terzi degli atti di trasferimento compiuti successivamente alla data di iscrizione del pignoramento.
Il pignoramento disciplinato dall’art. 2471 cod. civ. non necessita, inoltre, di alcuna forma di collaborazione da parte della società - che assume la funzione di terzo interessato - dal momento che i dati e le circostanze sui quali questa dovrebbe riferire (qualità di socio del debitore pignorato, valore nominale della quota, esistenza di vincoli sulla stessa) possono essere ricavati esaminando il registro delle imprese. La funzione della notifica del pignoramento nei confronti della società è quella di rendere operante anche nei suoi confronti il vincolo che costituisce l’effetto tipico del pignoramento, che discende dall’ingiunzione dell’ufficiale giudiziario di non sottrarre i beni pignorati alla garanzia del credito.

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Responsabilità degli amministratori: natura giuridica dell’azione, onere della prova e obblighi degli amministratori con riferimento ai debiti tributari e previdenziali
L’azione di responsabilità proposta dal curatore della liquidazione giudiziale ex art. 255 c.c.i. compendia sia l’azione sociale di responsabilità prevista...

L'azione di responsabilità proposta dal curatore della liquidazione giudiziale ex art. 255 c.c.i. compendia sia l'azione sociale di responsabilità prevista dall'art. 2476, primo e terzo comma, c.c. sia l'azione di responsabilità proponibile dai creditori ai sensi dell'art. 2476, sesto comma, c.c. contro gli amministratori ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, patrimonio visto unitariamente come garanzia sia per i soci che per i creditori sociali. Ne consegue che il curatore della liquidazione giudiziale, nel proporre l'azione di responsabilità contro gli amministratori, potrà senz'altro invocare le agevolazioni probatorie che derivano dalla natura contrattuale della responsabilità degli amministratori verso la società, e quindi limitarsi a dimostrare il fatto costitutivo della pretesa [ossia che il soggetto ha ricoperto la carica di amministratore nel periodo in cui è avvenuto il fatto illecito] e ad allegare specificamente la violazione, essendo poi onere dell'amministratore dimostrare di aver adempiuto ai propri obblighi di diligenza.
Il pagamento dei debiti tributari e previdenziali costituisce un obbligo primario per l'amministratore, il quale deve farvi fronte con precedenza rispetto ai debiti verso gli altri fornitori, sia perché i debiti tributari e previdenziali hanno natura privilegiata sia perché il mancato pagamento dei medesimi espone la società a sanzioni, interessi, aggi e quindi a conseguenze maggiormente dannose rispetto al mancato pagamento dei debiti verso fornitori [che, al più, espone ad interessi di mora, ma non a sanzioni]. Nello specifico, non risponde a diligenza la condotta dell'amministratore che non adempie agli obblighi tributari e previdenziali, dando preferenza all'adempimento di altre obbligazioni, giacché cosi operando finisce con l'utilizzare il mancato versamento dei tributi quale fonte di finanziamento improprio dell'attività d'impresa.

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Compravendita di partecipazioni sociali, oggetto mediato e garanzie.
Ancorché in materia di cessione di partecipazioni sociali sia principio consolidato quello per cui la cessione delle azioni di una...

Ancorché in materia di cessione di partecipazioni sociali sia principio consolidato quello per cui la cessione delle azioni di una società di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta, ciò non toglie che la consistenza patrimoniale della società -che non attiene all'oggetto del contratto, ma alla sfera delle valutazioni motivazionali delle parti- possa venire in rilievo ove, in relazione ad essa, siano state previste esplicite garanzie contrattuali.

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Violazione di segreti commerciali e ipotesi di concorrenza sleale parassitaria
La mera imitazione degli aspetti esteriori, palesi agli operatori di mercato, non implica prova alcuna dell’impiego, nella realizzazione, di informazioni...

La mera imitazione degli aspetti esteriori, palesi agli operatori di mercato, non implica prova alcuna dell’impiego, nella realizzazione, di informazioni segrete o riservate, le quali devono necessariamente attenere ad aspetti nascosti del prodotto; salvo che, per la estrema complessità anche dell’aspetto esteriore, la imitazione non implichi con alta probabilità l’impiego i disegni originali con relative quote e tolleranze, prospettiva che pare del tutto estranea al caso in esame; o salvo che per qualche ragione la imitazione dell’esteriore non implichi necessariamente la conoscenza di informazioni riguardanti l’interno del prodotto.

La concorrenza sleale parassitaria, ricompresa fra le ipotesi previste dall'art. 2598, n. 3, c.c., consiste in un continuo e sistematico operare sulle orme dell'imprenditore concorrente, mediante l'imitazione non tanto dei prodotti, quanto piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest'ultimo, in un contesto temporale prossimo alla ideazione dell'opera, in quanto effettuata a breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del concorrente (nella concorrenza parassitaria diacronica) o dall'ultima e più significativa di esse (in quella sincronica), vale a dire prima che questa diventi patrimonio comune di tutti gli operatori del settore.

La concorrenza sleale parassitaria, ricompresa fra le ipotesi previste dall'art. 2598, n. 3, c.c., consiste in un continuo e sistematico operare sulle orme dell'imprenditore concorrente attraverso l'imitazione non tanto dei prodotti ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest'ultimo, mediante comportamenti idonei a danneggiare l'altrui azienda con ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale; essa si riferisce a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici di cui ai precedenti nn. 1 e 2 della medesima disposizione, sicché, ove si sia correttamente escluso nell'elemento dell'imitazione servile dei prodotti altrui il centro dell'attività imitativa (requisito pertinente alla sola fattispecie di concorrenza sleale prevista dal n. 1 dello stesso art. 2598 c.c.), debbono essere indicate le attività del concorrente sistematicamente e durevolmente plagiate, con l'adozione e lo sfruttamento, più o meno integrale ed immediato, di ogni sua iniziativa, studio o ricerca, contrari alle regole della correttezza professionale.

 

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Criteri per l’individuazione dell’amministratore di fatto
La  figura dell’amministratore di fatto ricorre allorché un soggetto si sia ingerito nella gestione sociale in assenza di una qualsivoglia...

La  figura dell’amministratore di fatto ricorre allorché un soggetto si sia ingerito nella gestione sociale in assenza di una qualsivoglia investitura, sia pure irregolare o implicita, sempre che le funzioni gestorie svolte in via di fatto abbiano carattere sistematico e non si esauriscano, quindi, nel compimento di alcuni atti di natura eterogenea e ed occasionale. Lo svolgimento delle predette funzioni è ravvisabile nell'assoggettamento della società alle direttive impartite dal soggetto privo d'investitura e, in linea più generale, dal condizionamento esercitato da quest'ultimo sulle scelte operative. Non è quindi sufficiente che il soggetto al quale venga ascritta la qualifica di amministratore di fatto sia intervenuto in alcune operazioni gestorie, ma è necessario che il ruolo dallo stesso rivestito nella società, pur prescindendo da un’investitura formale, sia assimilabile a quello di un amministratore di diritto. È quindi necessario dimostrare che l’amministratore di fatto svolga, in via sistematica e continua, le attività tipiche dell’amministratore, quali, ad esempio, la gestione di rapporti con i clienti e fornitori, la direzione del personale, l’assunzione di un potere decisionale tale da condizionare le scelte operative e organizzative della società, la gestione dei rapporti con il ceto bancario o la facoltà di operare sul conto corrente.

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Diritto morale dell’inventore, invenzioni di azienda e diritto all’equo premio
La cancellazione, ad opera del datore di lavoro e ad insaputa del lavoratore, del suo nominativo inizialmente qualificato come autore...

La cancellazione, ad opera del datore di lavoro e ad insaputa del lavoratore, del suo nominativo inizialmente qualificato come autore nella domanda di brevetto internazionale, è illecita ed è pertanto dovuto in favore del dipendente il risarcimento del danno per la violazione del diritto morale di invenzione. La liquidazione deve essere effettuata in via equitativa, tenuto conto sia della gravità della condotta tenuta dalla convenuta per il tramite dei suoi mandatari brevettuali, sanzionabile anche sotto il profilo penale, sia in ragione della natura del diritto violato, riconosciuto dall’art. 62 c.p.i. quale diritto imprescrittibile, non cedibile e irrinunciabile, sia per l’estensione del diritto a tutti i paesi in cui il datore di lavoro ha chiesto l’estensione del brevetto.

Ricorre l’ipotesi dell’invenzione di azienda qualora l’attività inventiva sia stata realizzata nell’esecuzione delle obbligazioni derivanti da un contratto di lavoro e in assenza di qualsivoglia retribuzione quale corrispettivo causalmente connesso. Il lavoratore ha pertanto diritto a ricevere un equo premio, secondo i criteri stabiliti dall’art. 64, 2° comma c.p.i.

L’art. 64 c.p.i. riserva l’accertamento del diritto all’autorità giudiziaria (che pronuncia condanna generica relativa all’an debeatur), demandando la quantificazione del compenso, in difetto di accordo tra le parti, ad un collegio di esperti, denominato arbitratore, in conformità al disposto dell'art. 64, co. 4 e 5, c.p.i., il quale, quindi, concorre alla formazione e all’integrazione del contenuto del negozio. Tale esperto deve procedere con equo apprezzamento e la vincolatività delle determinazioni dallo stesso raggiunte può essere esclusa solo ove se ne accerti la manifesta iniquità o erroneità. Nel caso di manifesta iniquità o erroneità della determinazione dell’arbitratore vi potrà essere l’intervento sostitutivo del giudice, chiamato, da un lato, all’accertamento della lamentata manifesta iniquità o erroneità della stima del terzo, e dall’altro, alla nuova determinazione, sostitutiva di quella dell’esperto-arbitratore. Si tratta di procedimento che ricalca quello previsto dall’art. 1349 cc e che prevede un sistema di impugnazione, in caso di manifesta iniquità o erroneità della stima, che non pregiudica il diritto della parte di agire in giudizio, tutelato dall’art. 24 Cost.

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Sulla risolubilità per inadempimento di un contratto di sviluppo software
L’attività interpretativa del Giudice non deve fermarsi alla terminologia usata ma deve indagare circa il contenuto sostanziale della pretesa, essendo...

L’attività interpretativa del Giudice non deve fermarsi alla terminologia usata ma deve indagare circa il contenuto sostanziale della pretesa, essendo compito dell’Autorità Giudiziaria quello di qualificare giuridicamente i fatti ed altresì di interpretare correttamente le domande proposte, nel rispetto della legge e del principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, eventualmente provvedendo a riqualificarle nel modo ritenuto corretto.

Qualora un soggetto agisca per ottenere la risoluzione di un contratto per inadempimento, a prescindere dalla terminologia usata nella formulazione delle conclusioni, la pronuncia di accoglimento avrà necessariamente natura costitutiva, poiché richiede un intervento del Giudice volto a verificare la sussistenza dei presupposti per dichiarare la risoluzione del rapporto contrattuale, il cui scioglimento, nel caso di risoluzione per inadempimento, non opera ipso jure ma consegue ad una pronuncia giudiziale. Viceversa, laddove si invochi la clausola risolutiva espressa o il termine essenziale, trattandosi di cause di risoluzione che operano di diritto, il Giudice, dopo avere accertato la sussistenza dei presupposti posti dalle parti a fondamento della risoluzione, dovrà limitarsi ad accertare la già intervenuta risoluzione.

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Abuso di maggioranza nell’adozione delle delibere sociali
Sussiste un abuso di maggioranza soltanto nell’ipotesi in cui la delibera sociale persegua un interesse extrasociale, come quando sia preordinata...

Sussiste un abuso di maggioranza soltanto nell’ipotesi in cui la delibera sociale persegua un interesse extrasociale, come quando sia preordinata ad arrecare un pregiudizio ai soci di minoranza e ad avvantaggiare quelli di maggioranza.

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