Chiunque, sia impresa o consumatore, ha il diritto di chiedere il risarcimento del danno sofferto per violazione dell’art. 101 o 102 TFUE, quando esiste un nesso di causalità tra tale danno e un’intesa o una pratica vietata dalle norme dell’UE sulla concorrenza.
La domanda cautelare volta ad ottenere che una persona giuridica (i) contabilizzi in bilancio alcune somme accantonandole a fondi rischi ed oneri e (ii) ne dia notizia nella nota integrativa e/o nella relazione di accompagnamento al bilancio – proposta con ricorso ex art. 700 c.p.c. – difetta dei requisiti (altro…)
L’intervento in un giudizio da parte di un soggetto terzo che ha come unico legame con le parti in causa la parentela con i soci di una delle società coinvolte rappresenta un caso di interesse di mero fatto, che non attribuisce all’interveniente la legittimazione a svolgere un volontario adesivo dipendente ex art. 105 c.p.c.
Affinché un terzo possa intervenire, questi deve far valere - in relazione all'oggetto del processo o in dipendenza dal titolo in questo già dedotto - quantomeno una posizione di interesse a sostenere le ragioni di una o di alcune delle parti, sotto il profilo del danno o del vantaggio riflessi che l'interveniente possa subire in dipendenza della soccombenza o della vittoria della parte adiuvata. L’intervento deve dunque fondarsi su una posizione di diritto direttamente riconosciuta dall’ordinamento, rimanendo esclusi quegli interessi che, pur dotati di rilevanza soggettiva o morale, non possiedano tali caratteri.
Il criterio determinativo previsto dall'art. 20 c.p.c. si applica anche quando l'oggetto dell'azione (non sia l'adempimento dell'obbligazione ma) l'accertamento della nullità del contratto che ne costituisce la fonte, posto che tra le "cause relative a diritti di obbligazione" rientrano anche quelle dirette a postulare l'accertamento del modo di essere del contratto dal quale siano originate le obbligazioni, mentre il riferimento "al luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione dedotta in giudizio" ha solo la funzione di fissare i criteri di collegamento utili all'individuazione dei fori concorrenti rispetto a quelli generali, ma non di esprimere la loro attinenza rispetto al petitum dell'azione esercitata.
L’accoglimento della domanda per un importo inferiore a quello inizialmente richiesto - e per il quale era stato ottenuto un sequestro conservativo sui beni del convenuto - «non comporta la declaratoria di parziale inefficacia del sequestro (che si avrebbe solo in caso di accertamento dell’inesistenza totale o parziale del diritto di credito cautelato)»; piuttosto, la predetta misura cautelare si converte automaticamente in un pignoramento dei beni sequestrati per la minor somma per la quale il convenuto è stato effettivamente condannato.
Il pericolo nel ritardo, quale condizione di ammissibilità del sequestro conservativo dal punto di vista oggettivo, si desume dal rapporto di proporzione, quantitativo e qualitativo, tra patrimonio del debitore e presunto ammontare del credito e, nella valutazione di questo rapporto, si deve anche considerare se il patrimonio, pur in ipotesi idoneo al momento del sequestro ad assicurare la garanzia del credito, minacci di non esserlo più quando si determineranno le condizioni per la sua realizzazione coattiva.
L’incapienza del patrimonio dei debitori comporta che qualsiasi disponibilità attiva che sopravvenga, invece di essere destinata alla soddisfazione (pur eventualmente parziale) del credito, ben può essere destinata dai debitori ad altri scopi, sinanco naturalmente leciti o non anomali, ma lesivi del diritto del creditore alla soddisfazione del suo credito in quanto suscettibili di pignoramento.
Non può trovare accoglimento la richiesta formulata dai titolari di quote sociali oggetto di sequestro conservativo volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità, inefficacia, nullità e/o annullamento dell’atto attuativo del sequestro e motivata in ragione della mancata menzione, nel provvedimento di sequestro, dei beni mobili su cui eseguire la misura cautelare nonché dell’avvenuta trascrizione del sequestro su beni conferiti in fondo patrimoniale, qualora nel provvedimento sia soltanto indicato l’importo massimo entro cui eseguire il sequestro e sia stato lo stesso creditore a fornire all’ufficio del registro le indicazioni relative ai beni su cui effettuare la trascrizione.
La modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa ("petitum" e "causa petendi"), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione (altro…)
La cessazione della materia del contendere si verifica solo qualora nel corso del procedimento sopravvenga una situazione che, soddisfacendo le pretese fatte valere in giudizio, elimina il contrasto tra le parti, cosicché le stesse non hanno più interesse a proseguire (altro…)
La mancata osservanza del provvedimento assunto dal giudice – sia pure nei termini lessicali di invito – di rimediare al difetto autorizzativo del curatore fallimentare integrando in una successiva udienza il contenuto dell’autorizzazione rilasciatagli dal giudice delegato per l’azione di responsabilità ex art. 146 l.f. nei confronti degli amministratori, consuma il potere della parte attrice di sanare il difetto, dovendo l’ordinanza del giudice istruttore essere interpretata quale assegnazione del termine perentorio previsto dall’art. 182 co. 2° c.p.c.
La riassunzione. della causa ex art. 50 c.p.c dinanzi al giudice della Sezione Specializzata in materia di impresa, funzionalmente competente [nella specie, per un giudizio in materia di revoca senza giusta causa del Presidente del Consiglio di Amministrazione di una società], determina la prosecuzione (altro…)
La clausola risolutiva espressa presuppone che le parti abbiano previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, sicché la clausola che attribuisca ad uno dei contraenti la facoltà di dichiarare risolto il contratto per gravi e reiterate violazioni dell'altro contraente a tutti gli obblighi da esso discendenti va ritenuta nulla per indeterminatezza dell'oggetto, in quanto detta locuzione nulla aggiunge in termini di determinazione delle obbligazioni il cui inadempimento può dar luogo alla risoluzione del contratto e rimette in via esclusiva ad una delle parti la valutazione dell'importanza dell'inadempimento dell'altra.
Ne consegue, dunque, che se è assolutamente inefficace la clausola risolutiva espressa, non può dirsi neppure operante la gravosa penale ad essa connessa.