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Sulla competenza arbitrale nell’azione di sequestro conservativo nei confronti degli amministratori
L’art. 3, comma 52, d.lgs. 10 ottobre, 2022, n. 149 ha modificato l’art. 818 c.p.c. introducendo l’attribuzione di poteri cautelari...

L’art. 3, comma 52, d.lgs. 10 ottobre, 2022, n. 149 ha modificato l’art. 818 c.p.c. introducendo l’attribuzione di poteri cautelari agli arbitri, laddove, invece, la previgente formulazione dell’art. 818 c.p.c. non consentiva agli arbitri di concedere sequestri né altri provvedimenti cautelari. Alla luce di quanto indicato all’art. 1, comma 15, lettera c), l. 26 novembre 2021, n. 206 e tenuto altresì conto del fatto che l’arbitrato irrituale ha natura solo negoziale, il nuovo art. 818 c.p.c. va interpretato nel senso che la facoltà di concedere provvedimenti cautelari [nel caso di specie, un sequestro conservativo] possa essere attribuita ai soli arbitri rituali. Inoltre, il nuovo assetto normativo riconosce il potere cautelare agli arbitri rituali unicamente qualora vi sia una espressa volontà delle parti in tal senso, che deve formare oggetto di una pattuizione ulteriore rispetto a quella di deferire agli arbitri la risoluzione del merito della controversia.

 

L'azione sociale di responsabilità nei confronti del direttore generale di una società di capitali che, conformemente allo statuto, agisca nell'ambito delle deleghe conferitegli dal consiglio di amministrazione, non si differenzia da quella avverso un amministratore esecutivo.

 

L'azione di responsabilità sociale promossa contro gli amministratori di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l'attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi. Sul convenuto incombe, invece, l'onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi imposti. Ai fini della risarcibilità del preteso danno, l'attore, oltre ad allegare, in modo specifico, l’inadempimento dell’amministratore, deve anche allegare e provare l’esistenza di un danno concreto al patrimonio sociale e la riconducibilità del danno al fatto dell’amministratore inadempiente, quand’anche cessato dall’incarico: in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente illecita o inadempiente. La società è quindi tenuta a provare la sussistenza del nesso causale tra la condotta illecita denunciata e il danno lamentato ed è altresì tenuta a dimostrare l'entità del danno stesso.

 

Ove si deduca la conclusione di un contratto in conflitto di interessi, non basta che il terzo abbia un interesse diverso o anche contrario a quello della società – situazione che può porsi, di regola, per i contratti sinallagmatici, ove al vantaggio economico prodotto da una condizione contrattuale per una parte corrisponde specularmente una minore convenienza per l’altra – dovendo essere interessi fra loro incompatibili e fare difetto i presupposti per addivenire a quel regolamento contrattuale, in quanto l’accordo non risponda a nessun interesse della società e sia per essa pregiudizievole. L’onere della prova incombente in capo a parte ricorrente non si esaurisce quindi nella prova dell’atto compiuto dall’amministratore, ma investe anche gli elementi di contesto dai quali è possibile dedurre che lo stesso implichi violazione del dovere di lealtà o di diligenza.

 

All’amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c. di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società.

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Sulla responsabilità dell’amministratore di S.r.l. verso i creditori e verso i terzi per inadempimento contrattuale della società
L’art. 2476, comma 6 c.c. pone in capo agli amministratori, tenuti in forza della carica ricoperta ad una corretta gestione...

L’art. 2476, comma 6 c.c. pone in capo agli amministratori, tenuti in forza della carica ricoperta ad una corretta gestione sociale nell’interesse della società e per l’attuazione del suo oggetto, anche l’obbligo specifico di conservare, a tutela delle ragioni dei creditori sociali, la garanzia patrimoniale della società ex art. 2740 c.c., prevedendone la responsabilità qualora il patrimonio della società risulti, proprio a causa della violazione di tale obbligo conservativo, così compromesso da essere insufficiente al soddisfacimento delle pretese dei terzi creditori. Il danno prospettabile dal creditore è, dunque, esclusivamente quello conseguente alla riduzione della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c. e colpisce indistintamente tutto il ceto creditorio, il quale vede pregiudicate le proprie ragioni dalla sopravvenuta insufficiente capienza del patrimonio sociale. Trattasi di una specifica ipotesi di responsabilità di natura aquiliana, che pone a carico dell’attore l’onere di provare in giudizio tutti i fatti costitutivi dell’illecito addebitato all’amministratore convenuto, ivi compreso il nesso causale tra le condotte illegittime dell’amministratore ed il pregiudizio subito. In particolare, tale responsabilità deve essere provata con elementi che consentano di muovere un rimprovero per mala gestio nei confronti dell’amministratore tale da aver reso la società incapace di far fronte alle sue obbligazioni.

L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non implica automaticamente la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente ai sensi dell’art. 2395 o 2476, comma 7, c.c., atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, richiede la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente, come si evince, fra l’altro, dall’utilizzazione, nel testo della norma, dell’avverbio “direttamente”, il quale esclude che l’inadempimento e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano sufficienti a dare ingresso all’azione di responsabilità. Quindi, per potersi fondatamente esperire l’azione individuale ex art. 2395  o 2476, comma 7, c.c. è necessario che il danno patito non sia conseguente ad un generale depauperamento del patrimonio sociale ma sia singolarmente apprezzato con riferimento al pregiudizio del singolo creditore. La pronuncia di condanna per illecito dell’amministratore ai sensi dell’art. 2395 o 2476, comma 7, c.c. presuppone il compimento da parte dell’amministratore di un atto illecito nell’esercizio del suo ufficio, dolosamente preordinato a determinare o colposamente inidoneo a impedire un danno diretto al patrimonio del terzo.

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Azione di responsabilità contro gli amministratori per atti di natura distrattiva: natura e ripartizione dell’onere della prova
L’azione di responsabilità sociale promossa contro gli amministratori di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare...

L’azione di responsabilità sociale promossa contro gli amministratori di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sul convenuto l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti. È altresì onere dell’attore quello di provare la sussistenza e l’entità del danno lamentato.

Nell’azione di responsabilità sociale promossa dal curatore della società fallita, qualora sia contestato all’amministratore il compimento di atti di natura distrattiva, è onere del curatore dimostrare l’avvenuto prelievo o pagamento di somme, e quindi la diminuzione del patrimonio sociale, ed allegare che tali prelievi siano rimasti privi di giustificazione alcuna o comunque che siano stati effettuati per finalità che si assumono essere estranee ai fini sociali in favore dell’amministratore o di soggetti terzi, essendo onere dell’amministratore quello di provare la destinazione a fini sociali delle somme oggetto di contestazione. L’amministratore ha infatti l’obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta la prova della loro distrazione od occultamento.

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Della postergazione dei finanziamenti soci
I finanziamenti dei soci nelle s.r.l. trovano la loro disciplina nell’art. 2467 c.c. che nulla statuisce in merito alla necessità...

I finanziamenti dei soci nelle s.r.l. trovano la loro disciplina nell’art. 2467 c.c. che nulla statuisce in merito alla necessità di una delibera assembleare per il loro rimborso. Con l’art. 2467 c.c. il legislatore ha inteso introdurre un sistema di contrappesi, volto a scongiurare operazioni di ricapitalizzazione societaria in contrasto con il principio della par condicio creditorum, prevedendo, al comma 1, la postergazione dei crediti da finanziamenti concessi dai soci in favore della società. La condizione di inesigibilità del credito può essere eccepita al socio finanziatore solo qualora il finanziamento sia stato erogato e il rimborso richiesto in presenza di una specifica situazione di crisi della società, coincidente con il rischio di insolvenza, idoneo a fondare una sorta di “concorso potenziale tra tutti i creditori della società”, onde evitare che il rischio di impresa sia trasferito in capo agli altri creditori e che l’attività sociale prosegua a danno di questi. In una s.r.l. la natura postergata di un credito per finanziamento socio ex art. 2467 c.c. permane anche nel caso in cui il socio medesimo non faccia più parte della società; inoltre, il credito diviene ordinariamente esigibile se non sussistono rischi per i creditori sociali, concetto fondante il principio di postergazione. Riguardo ai presupposti per l’applicazione dell’art. 2467 c.c., l’inesigibilità legale e temporanea del diritto di credito avente ad oggetto il rimborso dei finanziamenti anomali concessi dai soci, trattandosi di un “fatto impeditivo” del diritto del socio finanziatore ad ottenere la restituzione del prestito, comporta, da parte della società, l’assolvimento di un preciso onere probatorio, ai sensi dell’art. 2697 c.c., in ordine alla situazione di difficoltà economico-finanziaria della società, difficoltà che deve essere persistente sino al momento della richiesta di restituzione del finanziamento.

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Società cooperativa e bilancio di esercizio: sull’impossibilità di depositare a Registro Imprese un bilancio non approvato dall’assemblea dei soci
Anche per le società cooperative può definirsi bilancio solo il documento contabile predisposto dall’organo amministrativo e approvato dall’assemblea dei soci;...

Anche per le società cooperative può definirsi bilancio solo il documento contabile predisposto dall'organo amministrativo e approvato dall'assemblea dei soci; prima dell'approvazione da parte dell'assemblea il documento non è un bilancio ma un progetto di bilancio, documento contabile privo del valore e dell'efficacia del bilancio ai sensi del codice civile, il quale pertanto non può essere depositato presso il registro delle imprese. La tipicità degli atti pubblicati nel registro delle imprese non consente deroghe quanto alla pubblicazione del progetto di bilancio in luogo del bilancio, al fine di garantire uniformità, organicità e completezza dell'informazione realizzata con il registro delle imprese.

La circostanza che una società cooperativa in liquidazione si trovi nell'impossibilità di presentare bilanci pubblicabili al registro delle imprese non esclude la prosecuzione di una corretta attività liquidatoria, che il liquidatore potrà documentare con le scritture contabili e i progetti di bilancio e, alla fine, con il bilancio finale di liquidazione che non necessita di approvazione dell'assemblea (ex art. 2492 c.c.).

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Per l’esercizio del diritto di controllo occorre specificare i motivi di urgenza
Al fine dell’accoglimento in sede cautelare dell’esercizio del diritto di controllo il socio non può limitarsi ad allegare che il...

Al fine dell'accoglimento in sede cautelare dell'esercizio del diritto di controllo il socio non può limitarsi ad allegare che il ritardo lede il diritto di controllo e l’esercizio dei poteri di socio e che il danno, una volta verificatosi, sarebbe irreparabile, perchè per verificare il carattere imminente e irreparabile della lesione, occorre che la situazione pregiudicata sia individuata con relativa concretezza, essendo certo possibili pregiudizi non imminenti e risarcibili.

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Mancata approvazione del bilancio e causa di scioglimento della società
La mancata approvazione del bilancio costituisce sintomo della causa di scioglimento della società ex art. 2484, comma 1, n. 3,...

La mancata approvazione del bilancio costituisce sintomo della causa di scioglimento della società ex art. 2484, comma 1, n. 3, cod. civ. ove tale omissione concerna almeno due bilanci di esercizio. La circostanza che, attraverso la locazione degli immobili oggetto di attività sociale, nel corso degli anni siano state ricavate risorse finanziarie e pagati i debiti sociali, non esclude che non debba prendersi atto dell’impossibilità di funzionamento dell’assemblea e della sua perdurante inattività, causa di scioglimento della società ai sensi della norma codicistica, alla quale non può sopperire un’attività di fatto slegata dal controllo e dalle determinazioni dell’ organo collegiale.

È legittima la condanna alle spese giudiziali nel procedimento promosso in sede di reclamo, ex art. 739 cod. proc. civ., avverso provvedimento reso in camera di consiglio, atteso che ivi si profila comunque un conflitto tra parte impugnante e parte destinataria del reclamo, la cui soluzione implica una soccombenza che resta sottoposta alle regole dettate dagli articoli 91 ss. cod. proc. civ., e che, inoltre, se lo sviluppo del procedimento nella fase di impugnazione non può ovviamente conferire al procedimento stesso carattere contenzioso in senso proprio, si deve tuttavia riconoscere che - in tale fase - le posizioni delle parti con riguardo al provvedimento dato assumono un rilievo formale autonomo, che dà fondamento alla applicazione estensiva dell’art. 91 citato.

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Responsabilità degli amministratori di S.r.l.: diligenza e onere probatorio
Il regime di responsabilità degli amministratori di cui all’art. 2476, comma 1, c.c., è inquadrabile nell’alveo della responsabilità contrattuale da...

Il regime di responsabilità degli amministratori di cui all’art. 2476, comma 1, c.c., è inquadrabile nell’alveo della responsabilità contrattuale da inadempimento in quanto il rapporto di amministrazione è riconducibile allo schema del mandato, data la relazione fiduciaria che caratterizza la gestione degli interessi altrui. In analogia con l’art. 2392 c.c., anche per le s.r.l. il parametro di riferimento per la valutazione dell’adempimento agli obblighi di legge e di statuto è la diligenza richiesta per l’adempimento di obbligazioni inerenti l’esercizio di un’attività professionale (art. 1176 co. 2 cc).

Il modello di condotta dell’art. 1176, comma 2, c.c. presuppone l’impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, dovendosi avere riguardo alla peculiare specializzazione e alla necessità di adeguare la condotta alla natura e al livello di complessità della prestazione. La difficoltà dell’intervento e la diligenza professionale vanno valutate in concreto, rapportandole al livello di specializzazione del professionista e alle strutture tecniche a disposizione. Conseguentemente, la responsabilità del professionista non può essere desunta automaticamente dal mero inadempimento alla propria obbligazione o dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal creditore, ma consegue alla prestazione non improntata alla dovuta diligenza da parte del professionista ai sensi dell'art. 1176 co. 2 c.c., adeguata alla natura dell'attività esercitata e alle circostanze concrete del caso.

Sul piano probatorio, la società ha il mero onere di allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri, e di provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestatigli, l'osservanza dei doveri e la rispondenza del proprio operato alla diligenza professionale. [nel caso di specie il Tribunale ha respinto l'addebito dell'attore che contestava all'amministratore di avere determinato un pregiudizio al patrimonio sociale per avere perso l'assegnazione di un appalto pubblico, per mancata dichiarazione  in sede di presentazione dell'offerta di avere subito una condanna penale per un reato estinto].

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Azione sociale di responsabilità: natura, onere della prova e dies a quo della prescrizione
L’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore...

L'azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l'attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l'onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi imposti.

Il termine prescrizionale dell'azione di responsabilità contro gli amministratori decorre, ai sensi dell’art. 2935 cc, dal momento in cui il diritto può essere fatto valere e quindi, nel caso di illecito aquiliano ex art. 2043 cc, dal momento in cui il fatto illecito si sia perfezionato ed il danno si sia verificato nella sfera giuridica del soggetto danneggiato e risulti percepibile da quest’ultimo. Nel caso in cui il danno patito dalla società sia conseguente all’accertamento giurisdizionale della fondatezza di una pretesa risarcitoria vantata da un terzo nei suoi confronti, e della conseguente pronuncia di condanna, la decorrenza della prescrizione coincide dunque con la data di pubblicazione della sentenza definitiva.

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Del consorzio: invalidità delle delibere consortili e natura del fondo consortile
L’art. 2606 c.c., stabilendo che se lo statuto non dispone diversamente, le delibere consortili non conformi alla legge o all’atto...

L’art. 2606 c.c., stabilendo che se lo statuto non dispone diversamente, le delibere consortili non conformi alla legge o all’atto costitutivo possono essere impugnate nei trenta giorni dalla loro comunicazione o iscrizione, non esaurisce bensì tutti i casi di invalidità delle deliberazioni, che, se nulle o inesistenti, sono impugnabili senza limiti di tempo; i casi di nullità sono da individuarsi nelle ipotesi di illiceità o di impossibilità dell’oggetto, nella mancanza di forma scritta quando sia prevista come obbligatoria dalla legge o da statuto, o nell’incidenza sul contratto costitutivo del consorzio o su temi per i quali è prevista la unanimità, se si tratta di deliberazioni assunte a maggioranza.
Il fondo consortile costituito dai conferimenti degli associati e dai beni del consorzio, in quanto non corrisponde ad un valore legale minimo, non corrisponde affatto al capitale sociale: esso è semmai equiparabile al patrimonio sociale. Pertanto, l’incremento delle quote dovute annuali dei consorziati e delle quote di ingresso, che vanno a costituire e ad incrementare il fondo consortile, non è per nulla assimilabile ad un aumento del capitale sociale in una società di capitali.

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Acquisto di azioni proprie senza autorizzazione assembleare: conseguenze
Partendo dalla distinzione – corrispondente all’interpretazione costantemente fornita in dottrina dell’art. 2357, 2° co., c.c., anche nell’identico testo anteriore alla...

Partendo dalla distinzione – corrispondente all’interpretazione costantemente fornita in dottrina dell’art. 2357, 2° co., c.c., anche nell’identico testo anteriore alla riforma del 2003 – tra il potere autorizzativo dell’assemblea dei soci e il potere decisionale in ordine all’opportunità ed alla convenienza dell’acquisto, che compete solo e soltanto agli amministratori, si osserva come l'acquisto di azioni proprie passi, anzitutto, per la delibera del C.d.A. che esprima la volontà di acquistare in proprio le azioni e dia avvio alla sequenza procedimentale che dovrà poi portare, passando per la previa autorizzazione dell’assemblea, al perfezionamento dell’acquisto delle partecipazioni del socio intenzionato a vendere. La successiva delibera dell’organo assembleare non rappresenta, dunque, una ratifica della decisione di acquistare assunta dall’organo amministrativo in carenza di potere, bensì un necessario passaggio nell’iter dell’acquisto di azioni in proprio: essa, cioè, si colloca nel pieno rispetto della distinzione tra competenze degli amministratori e competenze assembleari.
L’acquisto di azioni proprie senza la previa autorizzazione dell’assemblea dei soci non è invalida, a motivo del fatto che secondo l’art. 2357, 4° co., c.c., in presenza di un acquisto avvenuto in violazione dei commi 1-3 della norma (e dunque anche senza autorizzazione), le azioni debbono essere rivendute entro un anno dal loro acquisto e, in mancanza, annullate con una corrispondente riduzione del capitale. Ciò farebbe pensare a una validità dell’operazione, escludendo la nullità per violazione di norma imperativa.

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