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Notificazione a mezzo del servizio postale e querela di falso
Nella notificazione a mezzo del servizio postale, l’attività legittimamente delegata dall’ufficiale giudiziario all’agente postale, in forza del disposto dell’art. 1...

Nella notificazione a mezzo del servizio postale, l'attività legittimamente delegata dall'ufficiale giudiziario all'agente postale, in forza del disposto dell'art. 1 l. n. 890 del 1982, gode della stessa fede privilegiata dell'attività direttamente svolta dall'ufficiale giudiziario. Pertanto, detta relazione di notifica, eseguita dall'agente postale, fa prova fino a querela di falso delle dichiarazioni e dei fatti avvenuti in sua presenza, ivi compresa l’identità del destinatario che lo ha sottoscritto in sua presenza. Pertanto, il destinatario che intenda contestare di aver mai apposto la sua firma sull’avviso ha l’onere di impugnare il documento con la querela di falso.

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Impugnazione della delibera assembleare di distribuzione degli utili
Anche nelle società a responsabilità limitata, il diritto del socio a percepire gli utili presuppone una preventiva delibera assembleare che...

Anche nelle società a responsabilità limitata, il diritto del socio a percepire gli utili presuppone una preventiva delibera assembleare che ne disponga la distribuzione, rientrando nei poteri dell’assemblea che approva il bilancio, la facoltà di prevederne l’accantonamento o il reimpiego nell’interesse della stessa società con una decisione censurabile solo se frutto di iniziative dei soci di maggioranza volte ad acquisire posizioni di indebito vantaggio a danno degli altri soci cui sia resa più onerosa la partecipazione.

Grava sul socio di minoranza che impugna la delibera l’onere di provare in giudizio che la decisione dell’accantonamento degli utili adottata a maggioranza abbia ingiustificatamente sacrificato la sua legittima aspettativa a percepire la remunerazione del suo investimento, avendo rivestito carattere abusivo perché volta intenzionalmente a perseguire un obiettivo antitetico all’interesse sociale o a provocare la lesione della posizione degli altri soci in violazione del canone di buona fede oggettiva che, ai sensi dell’art. 1175 e 1375 c.c., deve informare l’esecuzione del contratto sociale ove l’esercizio in comune dell’attività economica avviene proprio allo scopo di dividerne gli utili.

Fermo restando che il sindacato sull’esercizio del potere discrezionale della maggioranza, reputata dall’ordinamento migliore interprete dell’interesse sociale in considerazione dell’entità maggiore del rischio che corre nell’esercizio dell’attività imprenditoriale comune, deve, comunque, arrestarsi alla legittimità della deliberazione attraverso l’esame di aspetti all’evidenza sintomatici della violazione della buona fede e non può spingersi a complesse valutazioni di merito in ordine all’opportunità delle scelte di gestione e programma dell’attività comune sottese all’accantonamento dell’utile.

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La domanda implicita di risoluzione del contratto
La domanda di risoluzione del contratto sulla base di una clausola risolutiva espressa è diversa da quella di risoluzione del...

La domanda di risoluzione del contratto sulla base di una clausola risolutiva espressa è diversa da quella di risoluzione del contratto per grave inadempimento: sia quanto al petitum, perché invocando la risoluzione ai sensi dell'articolo 1453 c.c., si chiede una sentenza costitutiva mentre la domanda di cui all'articolo 1456 c.c. ne postula una dichiarativa; sia relativamente alla causa petendi, perché nella ordinaria domanda di risoluzione, ai sensi dell'articolo 1453 c.c., il fatto costitutivo è l'inadempimento grave e colpevole, nell'altra, viceversa, la violazione della clausola risolutiva espressa.

In tema di inadempimento contrattuale, mentre nella proposizione di una domanda di risoluzione di diritto per l'inosservanza di una diffida ad adempiere può ritenersi implicita, in quanto di contenuto minore, anche quella di risoluzione giudiziale di cui all'art. 1453 c.c., non altrettanto può dirsi nell'ipotesi inversa, nella quale sia stata proposta soltanto quest'ultima domanda, restando precluso l'esame di quella di risoluzione di diritto, a meno che i fatti che la sostanziano siano stati allegati in funzione di un proprio effetto risolutivo.

La volontà di risolvere un contratto di compravendita per inadempimento non deve necessariamente risultare da una domanda espressamente proposta dalle parti in giudizio, ben potendo essere implicitamente contenuta in un'altra domanda, eccezione o richiesta, sia pure di diverso contenuto, che presupponga la domanda di risoluzione. Ciò in quanto il giudice del merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto a uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell'effettivo suo contenuto sostanziale.

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Esclusione del socio di società di mutuo soccorso
La deliberazione di esclusione di un socio, come quella di revoca di un amministratore, dev’esser redatta e comunicata in modo...

La deliberazione di esclusione di un socio, come quella di revoca di un amministratore, dev’esser redatta e comunicata in modo da riportare in via autosufficiente e chiara quali siano gli addebiti posti a suo fondamento, al fine di consentire al destinatario del provvedimento ablatorio di averne adeguata cognizione e di potervi reagire ovvero di farvi acquiescenza. Pertanto, non è possibile addurre in causa nuove o ulteriori ragioni della delibera espulsiva che già non siano pienamente evincibili dal suo testo. L'esclusione del socio può conseguire soltanto a violazioni gravi e codificate dei doveri che incombano per legge e per contratto sociale, e quindi per statuto, al socio in quanto tale; non avendo ex se rilievo a tal fine violazioni, legali o statutarie, commesse dalla persona fisica del socio in altra sua veste, ad esempio come amministratore o dipendente della società.

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Presunzione dell’esercizio di direzione e coordinamento e impugnativa di bilancio per omessa indicazione della stessa
L’art 2497 sexies c.c. pone una presunzione non assoluta ma relativa, iuris tantum, tale per cui, pur in presenza dell’elemento...

L’art 2497 sexies c.c. pone una presunzione non assoluta ma relativa, iuris tantum, tale per cui, pur in presenza dell’elemento da cui si trae la presunzione (la posizione di controllo in assemblea o la particolare posizione contrattuale) è ammessa la prova contraria. La prova contraria dovrà essere fornita da colui la cui posizione è attinta dalla presunzione. La presunzione di esercizio di attività di direzione e coordinamento che si fonda sul controllo assembleare ex art 2359, n. 1, c.c. si caratterizza per porre in correlazione la situazione statica del controllo in assemblea con l’esercizio dinamico dell’attività di direzione e coordinamento nella eterodiretta. Può dirsi che l’attività di direzione e coordinamento, in sé legittima, sia esercizio del controllo a livello gestorio. Controllo assembleare e attività di direzione e coordinamento sono due situazioni differenti, la presunzione legale ex art 2497 sexies c.c. fa discendere dalla prima situazione la prova della seconda, ma non consente di ricondurre ad uno le due.

L’obbligo di verità gravante sulla società in sede di redazione del bilancio di esercizio non risulta pienamente compatibile con l’interpretazione e applicazione de plano della presunzione ex art 2497 sexies c.c. Il principio di verità del bilancio e il principio di effettività dell’attività di direzione e coordinamento non possono quindi andare disgiunti: rigorosamente vanno valutati tutti gli elementi in atti al fine di accertare se il controllo oltre che esercitato in assemblea si è inverato anche nella fase dinamica gestoria. La presunzione ex art. 2497 sexies c.c. con riferimento agli obblighi di informazione (contenuto del bilancio) si atteggia diversamente rispetto alle ipotesi di responsabilità gestoria invocate verso la controllante holding perché, mentre in queste ultime la presunzione di direzione e coordinamento discendente dal dato noto del controllo assembleare è sostenuta da uno o più atti gestori che si assumono compiuti su indicazione, volontà della controllante, nel caso di violazione agli obblighi informativi contabili a fronte della presunzione si ha la denuncia di una omissione. La parte che contesta il rapporto di direzione e coordinamento è onerata della prova positiva contraria, cioè la prova di quei fatti che portano a escludere in concreto l’esercizio di attività di direzione e coordinamento. La prova contraria del fatto negativo può essere resa anche attraverso elementi presuntivi.

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Abuso della regola di maggioranza e sindacato del giudice
La società è frutto, ai sensi dell’art. 2247 c.c., di un contratto nell’esecuzione del quale le parti devono attenersi ai...

La società è frutto, ai sensi dell’art. 2247 c.c., di un contratto nell’esecuzione del quale le parti devono attenersi ai principi generali e ai limiti di derivazione negoziale; le determinazioni prese dai soci durante lo svolgimento del rapporto associativo debbono, invero, essere considerate, a tutti gli effetti, come veri e propri atti preordinati alla migliore esecuzione del contratto sociale, donde l’estensione anche alle deliberazioni assembleari del principio di buona fede ex art. 1375 c.c.

In applicazione del principio di buona fede in senso oggettivo al quale deve essere improntata l'esecuzione del contratto di società, la cosiddetta regola di maggioranza consente al socio di esercitare liberamente e legittimamente il diritto di voto per il perseguimento di un proprio interesse fino al limite dell'altrui potenziale danno. L'abuso della regola di maggioranza (altrimenti detto abuso o eccesso di potere) è, quindi, causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale, oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli.

L'onere di provare che il socio di maggioranza abbia abusato del proprio diritto di voto grava sul socio di minoranza che assume l'illegittimità della deliberazione. Il sindacato del giudice deve rimanere nei limiti della verifica della legittimità dell’agire della maggioranza, non potendo spingersi nel merito dell’attività gestoria e, quindi, riguardare i motivi che hanno indotto la maggioranza dei soci ad adottare una delibera piuttosto che un’altra, in assenza della prova di un animus nocendi nei termini detti.

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Responsabilità per falso da prospetto, false informazioni finanziarie e di bilancio
In tema di risarcimento del danno da perdita di chance occorre tenere distinta la dimensione della causalità da quella dell’evento...

In tema di risarcimento del danno da perdita di chance occorre tenere distinta la dimensione della causalità da quella dell'evento di danno e si deve adeguatamente valutare il grado di incertezza dell'una e dell'altra, muovendo, prima, dalla necessaria indagine sul nesso causale tra la condotta e l'evento, secondo il criterio civilistico del più probabile che non, l'accertamento del nesso di causalità tra il fatto illecito e l'evento di danno (rappresentato, in questo caso, dalla perdita non del bene della vita in sé ma della mera possibilità di conseguirlo) non è sottoposto a un regime diverso da quello ordinario, sicché sullo stesso non influisce, in linea di principio, la misura percentuale della suddetta possibilità, della quale, invece, dev'essere provata la serietà e apprezzabilità ai fini della risarcibilità del conseguente pregiudizio e  procedendo, poi, all'identificazione dell'evento di danno, la cui riconducibilità al concetto di chance postula una incertezza del risultato sperato in quanto la perdita di chance consiste nella perdita non del bene della vita in sé, ma della mera possibilità di conseguirlo; ne consegue che, provato il nesso causale rispetto a un evento di danno accertato nella sua esistenza e nelle sue conseguenze dannose risarcibili, il risarcimento di quel danno sarà dovuto integralmente.

Il bilancio e le relazioni periodiche contengono le informazioni contabili costituenti lo strumento principale utilizzato dai terzi, dai soci e dagli investitori per compiere consapevolmente le proprie scelte di investimento e disinvestimento. Secondo un criterio di regolarità causale, ex art. 1223 c.c., si deve ritenere che gli investitori compiono scelte di acquisto o disinvestimento di strumenti finanziari in base a tali informazioni contabili ovvero dai prospetti informativi in caso di sollecitazione all’investimento. Cosicché, se le informazioni sono state fuorvianti e dall’investimento o mancato disinvestimento ne è conseguito un pregiudizio patrimoniale, il pregiudizio si presume causalmente ricollegabile, secondo un alto grado di probabilità logica e di razionalità, alle false informazioni contenute nei documenti informativi diffusi dalla società del danno deve ritenersi responsabile la società. Sussiste, quindi, una presunzione di nesso di causalità tra la scelta di investimento/disinvestimento e l’informazione data al pubblico dall’emittente. La presunzione è suscettibile però di prova contraria se si dimostra e risulta dagli atti del processo, anche alla luce delle condotte tenute dall’investitore successivamente al disvelamento della informazione decettiva, l’irrilevanza delle informazioni date al mercato in rapporto alla scelta concreta dell’investitore specifico.

L’intervenuto trasferimento dell’azione civile nel processo penale, sia esso qualificato come impeditivo alla prosecuzione del primo processo o estintivo dello stesso, opera di diritto ed è rilevabile d'ufficio, perché comporta, a norma dell'art. 75 c.p.p., la rinuncia agli atti del giudizio civile, con conseguente effetto estintivo ex art. 306 c.p.c. e 75 c.p.p.

La sospensione necessaria del processo, ex art. 295 c.p.c., presuppone l'esistenza di un nesso di pregiudizialità sostanziale, ossia una relazione tra rapporti giuridici sostanziali distinti e autonomi, dedotti in via autonoma in due diversi giudizi, uno dei quali (pregiudiziale) integra la fattispecie dell'altro (dipendente) in modo tale che la decisione sul primo rapporto si riflette necessariamente, condizionandola, sulla decisione del secondo. Ciò tenuto conto che: (i) l’art. 295 c.p.c. allude a un rapporto di stretta affinità-consequenzialità fra due possibili statuizioni e, quindi, in coerenza con l'obiettivo di evitare un conflitto tra giudicati, non a un mero collegamento tra diverse statuizioni (per l'esistenza di una coincidenza o analogia di riscontri fattuali o di quesiti da risolvere per la loro adozione) bensì ad un collegamento logico-giuridico, la soluzione del quale pregiudichi in tutto o in parte l'esito della causa da sospendere; tale rapporto ricorre solo quando una situazione sostanziale rappresenti un fatto costitutivo o comunque un elemento della fattispecie, sicché, occorre garantire uniformità di giudicati, essendo la decisione del processo principale idonea a definire, in tutto o in parte, il thema decidendum del processo pregiudicato, con portata pregiudiziale in senso stretto e vincolante sulla causa pregiudicata.

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Decisioni dei soci nelle società di persone e diritto alla percezione dei dividendi
Nelle società di persone, che non hanno personalità ma solo soggettività giuridica e un’autonomia patrimoniale c.d. imperfetta, le decisioni dei...

Nelle società di persone, che non hanno personalità ma solo soggettività giuridica e un’autonomia patrimoniale c.d. imperfetta, le decisioni dei soci non sono soggette al metodo collegiale: invero, non esiste l’organo sociale assemblea, così come non esiste l’organo consiglio di amministrazione, propri, invece, delle società di capitali. Sicché i soci deliberano liberamente, senza l’obbligo della osservanza di formalità e la volontà dai medesimi espressi, all’unanimità o a maggioranza, non si manifesta attraverso l’assemblea, salvo ciò non sia, legittimamente, previsto nello statuto, ma attraverso la raccolta interna del consenso dei singoli soci, come si desume anche da disposizioni quali quelle di cui agli artt. 2256 e 2301 c.c., le quali richiedono “il consenso degli altri soci” e non già “l’autorizzazione della società”. Sul tema della necessità di una volontà unanime o maggioritaria dei soci, deve ritenersi che sussista la necessità di raccogliere il consenso unanime dei soci laddove si tratti di decidere aspetti organizzativi di base (legali o convenzionali) della società, mentre sia sufficiente quello della sola maggioranza quando si tratti di decidere su temi che attengono alla gestione dell’impresa (come l’approvazione del rendiconto, o la revoca dell’amministratore).

Ciascun socio dispone del proprio diritto alla distribuzione degli utili e, quindi, certamente non sarebbe sufficiente il consenso della maggioranza a negarla, come potrebbe avvenire in una società di capitali ove la distribuzione degli utili è rimessa alla volontà collegiale dell’assemblea, essendo bensì necessario il consenso di ciascuno dei soci, che all’esito dell’approvazione del rendiconto che ne attesta l’esistenza, matura il relativo diritto ex art. 2262 c.c. In assenza della previsione, anche statutaria, di specifiche formalità, l’espressione della volontà contrattuale dei soci di una società di persone può avvenire anche in forma tacita, per effetto di atti non formali, ma di facta concludentia.

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