La riscontrata lacuna in ordine all'allegazione e prova di precisi elementi oggettivi, da cui desumere l’esistenza stessa del danno risarcibile, non può essere colmata ricorrendo all'equità, che infatti non può mai equivalere ad arbitrio da parte del Giudice: l’equità soccorre quando è difficile o impossibile l’esatta monetizzazione del danno, ma presuppone pur sempre la prova, in base a conferente allegazione, degli elementi costitutivi del danno stesso, oltre che dell’altrui responsabilità.
È responsabile verso la società per violazione dell’obbligo di diligenza l’amministratore che, all’atto della nomina, ometta di comunicare l’esistenza di precedenti penali a proprio carico, quando questi ultimi precludano di diritto alla società stessa di partecipare a bandi di gara per le attività da essa stessa svolte in via principale (prestazione di servizi a pubbliche amministrazioni).
La società è tenuta ad allegare l’inadempimento dell’amministratore agli obblighi di carica, nonché a provare il danno attuale e concreto cagionato al patrimonio sociale, mentre grava in capo all’amministratore convenuto l’onere di dimostrare l’avvenuto adempimento.
In caso di azione di responsabilità promossa dalla s.r.l. nei confronti dell'ex amministratore delegato - cui è contestato il compimento di spese ingiustificate, il godimento di rimborsi spese maggiorati e la distrazione di somme nell'ambito di diverse operazioni, nonché l'emissione di false fatturazioni passive - , nella quantificazione del danno risarcibile va posta in compensazione la maggior somma dovuta all'ex amministratore ad integrazione del compenso già ricevuto perché il rapporto organico con la società deve rivestire rilievo prioritario rispetto ad accordi intercorsi fra amministratori sul criterio di calcolo della remunerazione (nella specie, nel cd. employment agreement era stato pattuito un compenso inferiore rispetto a quello deliberato dall'assemblea).
In tema di azione di responsabilità sociale, trattandosi di responsabilità contrattuale, valgono i canoni generali sul riparto dell'onere della prova e, dunque, spetta all'attore (la società) allegare l'inadempimento - ovvero il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto - e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere del convenuto (l'amministratore) contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell'esatto adempimento.
La disposizione dell’art 2479, co. 1, c.c. che prevede la facoltà per tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale di convocare l’assemblea sociale, prevale su eventuali previsioni statutarie difformi che riservino al solo amministratore il potere di convocare l’assemblea. Tale potere è implicito nella facoltà attribuita ai soci dal medesimo articolo di individuare argomenti da sottoporre alla collettività sociale.
L’amministratore di s.r.l. non ha un diritto al mantenimento dell’incarico, giacché può essere revocato in qualunque tempo e ad nutum. Tuttavia deve essere riconosciuto all’amministratore revocato il potere di far valere la violazione della procedura seguita per l’adozione della delibera contenente la sua revoca, qualora non adottata in conformità alla legge e allo statuto. In simili circostanze l’amministratore può far valere eventuali profili formali di invalidità, essendogli invece preclusa qualsiasi contestazione in ambito sostanziale.
Qualora un soggetto, socio e amministratore di una s.r.l., sia convenuto in giudizio in qualità di amministratore per l’accertamento di una sua eventuale responsabilità ex art. 2476 c.c., è manifestamente infondata l’eccezione di incompetenza territoriale per mancato esperimento della causa avanti il foro di cui all’art. 23 c.p.c., atteso che (altro…)
Se gli attori non abbiano domandato il rimborso delle spese legali sostenute dalla società danneggiata ex art. 2476, co. 4, c.c., nulla deve essere disposto al riguardo dal giudice adito, trattandosi di diritti lasciati alla disponibilità delle parti e rimanendo peraltro impregiudicato il suddetto diritto, da poter far valere in sede stragiudiziale o con azione autonoma.
L'insindacabilità del merito delle scelte di gestione compiute dall’amministratore di società (cd. business judgement rule) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi rigorosamente ex ante secondo i parametri della diligenza professionale richiesta all’amministratore stesso e tenendo conto in particolare della mancata adozione delle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, id est della diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere. Non può tuttavia essere dichiarata la responsabilità degli amministratori, utilizzando il criterio della business judgment rule, allorquando essi non abbiano agito in maniera scriteriata o in assenza dei dovuti approfondimenti, confidando legittimamente e non ingiustificatamente nella competenza delle singole figure professionali cui si siano affidate.
Non può essere accolta l'eccezione concernente la carenza di legittimazione della società a responsabilità limitata all’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori in quanto asseritamente riservata dalla legge ai soli soci, trattandosi di tesi fondata su una delle possibili interpretazioni letterali del terzo comma dell’art. 2476 c.c. ma oggi superata dal ius receptum secondo cui è semmai la legittimazione individuale del socio a proporre l'azione sociale di responsabilità, riconducibile alla sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c., a doversi ritenere straordinaria rispetto a quella - originaria e generale - dell’ente danneggiato dalla mala gestio dei propri amministratori. (altro…)
In tema di omesso versamento di tributi e contributi, sebbene la corretta esecuzione dei pagamenti relativi ad oneri contributivi e previdenziali costituisca effettivamente un dovere per l’amministratore di una società di capitali, il danno subito dalla società non può essere parametrato all’entità dell’imposta o del contributo omesso, in quanto la società era tenuta comunque a sopportarne il costo. Il danno può, quindi, essere commisurato soltanto sulla base dell’entità delle sanzioni comminate dall’amministrazione finanziaria e dagli interessi maturati successivamente alla scadenza del termine legalmente previsto, poiché tali esborsi sarebbero stati evitabili qualora l’amministratore, utilizzando l’ordinaria diligenza, avesse provveduto ad adempiere ai propri obblighi in modo regolare.
Qualora il curatore fallimentare di una società di capitali eserciti l'azione di responsabilità verso l'ex amministratore imputato di mala gestio, il mancato rinvenimento della contabilità d'impresa non determina in modo automatico che l'ex amministratore risponda della differenza tra l'attivo e il passivo accertati in sede fallimentare, potendo il giudice di merito applicare il criterio differenziale soltanto in funzione equitativa, attraverso l'indicazione delle ragioni che non hanno permesso di accertare gli specifici effetti pregiudizievoli della condotta e che rendono plausibile ascrivere al convenuto l'intero sbilancio patrimoniale. [fattispecie relativa a fatti verificatisi anteriormente all’introduzione del terzo comma dell’art. 2486 c.c., disposta dall’art. 378, comma 2, D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14]
È onere del creditore (e nel caso di specie, del Fallimento attore) allegare in maniera precisa il comportamento dell’amministratore non conforme al contratto o alla legge, oltre che allegare e provare il danno ed il nesso di causalità. Quindi, per poter applicare il criterio del cd. deficit fallimentare, è necessario che l’attore, a fondamento della domanda risarcitoria, abbia allegato inadempimenti che, almeno astrattamente, siano idonei a produrre un danno corrispondente all’intero deficit patrimoniale accumulato dalla società fallita ed accertato nell’ambito della procedura concorsuale. Ed è evidente che tale danno può essere prodotto solo da quelle violazioni del dovere di diligenza nella gestione dell’impresa così generalizzate da far pensare che proprio a cagione di esse l’intero patrimonio sia stato eroso e si siano determinate le perdite registrate dal curatore, o comunque quei comportamenti che possano configurarsi come la causa stessa del dissesto sfociato nell’insolvenza. Per contro, se le dedotte violazioni avessero soltanto aggravato il dissesto, unicamente tale aggravamento potrebbe essere ad esse ricollegato.
Con riguardo alla omessa rilevazione di una causa di scioglimento della società ex art. 2482 e ss. c.c. una tale condotta omissiva può rilevare, da punto di vista risarcitorio, esclusivamente sotto il profilo dei danni causati dalla prosecuzione dell'attività sociale e dal compimento di nuove operazioni, nonostante l'esistenza di una causa di scioglimento che avrebbe dovuto comportare la sua immediata messa in liquidazione. Tuttavia, nulla di specifico risulta dedotto dal Fallimento, il quale ha omesso di chiarire quali sarebbero i danni cagionati al patrimonio sociale dalla prosecuzione della attività e dalla ritardata messa in liquidazione della società, non potendosi questi individuare automaticamente in tutti gli oneri e costi maturati successivamente.
Il risarcimento del danno cui è tenuto l’amministratore, ai sensi dell’art. 2393 c.c., dà luogo ad un debito di valore, avendo per contenuto la reintegrazione del patrimonio del danneggiato nella situazione economica preesistente al verificarsi dell’evento dannoso, con la conseguenza che nella liquidazione del risarcimento deve tenersi conto della svalutazione monetaria verificatasi tra il momento in cui si è prodotto il danno e la data della liquidazione definitiva: ciò, peraltro, vale anche se, al momento della sua produzione, il danno consista nella perdita di una determinata somma di denaro, in quanto quest’ultima vale soltanto ad individuare il valore di cui il patrimonio del danneggiato è stato diminuito e può essere assunta come elemento di riferimento per la determinazione dell’entità del danno.
Nei debiti di valore il riconoscimento di interessi costituisce una mera modalità liquidatoria del possibile danno da lucro cessante, cui è consentito al giudice di far ricorso col limite costituito dall'impossibilità di calcolare gli interessi sulle somme integralmente rivalutate dalla data dell'illecito. Non gli è invece inibito di riconoscere interessi anche al tasso legale su somme progressivamente rivalutate; ovvero sulla somma integralmente rivalutata, ma da epoca intermedia; ovvero di determinare il tasso di interesse in misura diversa da quella legale; ovvero, ancora, di non riconoscere affatto gli interessi se, in relazione ai parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato, un danno da lucro cessante debba essere positivamente escluso.