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Legittimazione degli eredi del socio accomandatario defunto ad agire in via cautelare per la revoca del liquidatore della società
Gli eredi del socio accomandatario defunto di una s.a.s. hanno la qualifica di creditori della società e sono, pertanto, legittimati,...

Gli eredi del socio accomandatario defunto di una s.a.s. hanno la qualifica di creditori della società e sono, pertanto, legittimati, in via surrogatoria ex art ex art. 2900 c.c., ad agire in sede cautelare ex art. 700 c.p.c. a tutela del patrimonio sociale per chiedere la revoca del liquidatore negligente ed eventualmente esperire azione risarcitoria sociale verso lo stesso nel caso in cui, ai sensi dell’art. 2275 c.c., ricorra una “giusta causa”, concesso espresso altresì dagli artt. 2259 c.c. (revoca di amministratore di società di persone) e 2383 comma tre c.c.. (revoca amministratore di società di capitali). Sul punto, deve ritenersi che la giusta causa per la revoca dell'amministratore, prevista dall'art. 2383, terzo comma, cod. civ., consista non solo in fatti integranti un significativo inadempimento degli obblighi derivanti dall'incarico, ma anche in fatti che minino il "pactum fiduciae", elidendo l'affidamento riposto al momento della nomina sulle attitudini e capacità dell'amministratore [nel caso di specie, il Tribunale ha ravvisato la sussistenza di una "giusta causa" di revoca nel comportamento del liquidatore che non abbia tempestivamente iscritto al Registro imprese la liquidazione della società per mancata ricostituzione della pluralità dei soci e non abbia svolto alcuna attività liquidatoria per un lungo lasso temporale].

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Sindaci: poteri, doveri e responsabilità
I doveri di controllo imposti ai sindaci sono contraddistinti da particolare ampiezza e si estendono a tutta l’attività sociale in...

I doveri di controllo imposti ai sindaci sono contraddistinti da particolare ampiezza e si estendono a tutta l’attività sociale in funzione della tutela e dell’interesse dei soci e di quello concorrente dei creditori sociali e si concretizzano nel controllo dell'amministrazione della società, nella vigilanza sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo, nella verifica della regolare tenuta della contabilità sociale, della corrispondenza del bilancio alle risultanze dei libri e delle scritture contabili, e nell'osservanza delle norme poste per la valutazione del patrimonio sociale (cd. responsabilità concorrente con gli amministratori). Il sindaco, dunque, non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della sua mera "posizione di garanzia": ai fini dell'esonero dalla responsabilità, è necessario che egli abbia esercitato o tentato di esercitare l'intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge. Da un lato, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative - in primis, la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c. - può dare concreto contenuto all'obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell'amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, al contrario avendo il primo il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell'inerzia alle altrui condotte dannose senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all'organo gestorio, ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cd. azioni correttive necessarie. Dall'altro lato, il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall'ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall'attività dannosa, la convocazione dell'assemblea ai sensi dell'art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all'assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l'impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. o all'autorità giudiziaria penale, ed altre simili iniziative.

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Interpretazione del contratto e comportamento delle parti
In materia contrattuale, le regole dell’ermeneutica impongono all’interprete di accertare gli effetti prodotti da un negozio giuridico cercando di individuare...

In materia contrattuale, le regole dell’ermeneutica impongono all’interprete di accertare gli effetti prodotti da un negozio giuridico cercando di individuare la comune intenzione delle parti attraverso i criteri interpretativi forniti dal legislatore. Il punto di partenza di tale ricerca è, ai sensi dell’art. 1362, comma 1, c.c., la lettera del testo contrattuale ma l’interprete non deve limitarsi ad esso, ben potendo applicare ulteriori canoni ermeneutici, e dovendo, a mente dell’art. 1362, comma 2, c.c., valutare il comportamento complessivo tenuto dalle parti.

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Ritardo e gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto di investimento
La valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione si fonda su un criterio oggettivo che impone di accertare l’obiettiva...

La valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione si fonda su un criterio oggettivo che impone di accertare l’obiettiva entità dell’inadempimento con riferimento alla natura accessoria o principale dell’obbligazione inattuata o all’entità del ritardo e su un criterio soggettivo che impone di considerare l’interesse che l’altra parte si era prefissa di realizzare così come cristallizzato nell’accordo contrattuale, dovendo il giudice verificare, tenuto conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive indicative della possibile alterazione dell’equilibrio contrattuale, se la parte inadempiente con la sua condotta, nel cui ambito rientra anche l’inosservanza di un termine non essenziale, abbia compromesso l’interesse dell’altra parte al raggiungimento dello scopo negoziale originariamente programmato. Fondamentale, quindi, nella valutazione della gravità anche solo del ritardo nell’esecuzione della prestazione principale è la considerazione della natura e delle finalità dell’accordo, dovendo la gravità dell’inadempimento essere commisurata non all’entità del danno, che potrebbe anche mancare, ma alla rilevanza della violazione del contratto con riferimento alla volontà manifestata dai contraenti, alla natura e alla finalità del rapporto, nonché al concreto interesse dell'altra parte all’esatta e tempestiva prestazione [nel caso di specie, il Tribunale, sulla scorta di tali principi, ha accolto la domanda di risoluzione per inadempimento di un complesso accordo di investimento, ritenendo di non scarsa importanza l'inadempimento dato dal ritardo nella stipulazione dell’atto notarile di closing].

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Sulla ripetizione dell’indebito
L’art. 2033 c.c. riconosce in capo a chi abbia effettuato un pagamento non dovuto il diritto di ripetere ciò che...

L’art. 2033 c.c. riconosce in capo a chi abbia effettuato un pagamento non dovuto il diritto di ripetere ciò che ha pagato, oltre agli interessi, decorrenti, rispettivamente, dal giorno del pagamento, se chi ha ricevuto l’indebito era in mala fede, oppure dal giorno della domanda, se era in buona fede. Tale norma rinviene la propria ratio nel principio per cui, nel nostro ordinamento, ogni spostamento patrimoniale deve essere sorretto da giusta causa. Ne consegue che l’inesistenza originaria del titolo del pagamento ovvero il suo venir meno consentono la ripetizione di quanto corrisposto, poiché, diversamente, l’accipiens otterrebbe un arricchimento ingiustificato. Sulla scorta di tali considerazioni, deve ritenersi che l'azione di ripetizione di indebito, prevista dall'art 2033 cod. civ., abbia per suo fondamento l'inesistenza dell'obbligazione adempiuta da una parte, o perché il vincolo obbligatorio non è mai sorto, o perché venuto meno successivamente, a seguito di annullamento, rescissione o inefficacia connessa ad una condizione risolutiva avveratasi

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Recesso consensuale e determinazione del valore di liquidazione: impossibilità di nomina dell’esperto
In caso di recesso inquadrato nell’ambito di un mero disinvestimento e quindi di risoluzione consensuale del rapporto, poiché tale situazione...

In caso di recesso inquadrato nell’ambito di un mero disinvestimento e quindi di risoluzione consensuale del rapporto, poiché tale situazione non rientra tra quelle disciplinate dall’art. 2473 c.c. ne deriva necessariamente come non possa trovare applicazione nemmeno il disposto di cui all’art. 2473, comma 3, c.c. rispetto alla nomina dell’esperto, in quanto tale nomina è prevista esclusivamente nei casi disciplinati dal medesimo articolo. Dovranno le parti individuare un soggetto idoneo allo scopo ai fini della liquidazione della quota. Invero, pur essendo pacifico che la nomina dell’esperto rientri tra i procedimenti camerali di volontaria giurisdizione, tuttavia non possono le parti adire il Tribunale al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, non esistendo nel nostro ordinamento la possibilità di coinvolgere l’autorità giudiziaria ai fini meramente suppletivi al di fuori delle specifiche ipotesi previste dal legislatore.

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Responsabilità degli amministratori, dei sindaci e del notaio: questioni sostanziali e processuali
Presupposto imprescindibile per qualsivoglia atto di gestione non può che essere il controllo circa l’esistenza e la quantità delle risorse...

Presupposto imprescindibile per qualsivoglia atto di gestione non può che essere il controllo circa l’esistenza e la quantità delle risorse disponibili. Costituisce, pertanto, onere di minima diligenza degli amministratori accertare, prima di intraprendere qualsivoglia iniziativa che comporti spese per la società, l’esistenza, la regolarità e l’attivo del conto corrente societario. Gli amministratori sono responsabili degli atti di gestione e devono verificare, prima di ogni operazione che comporti uscite di denaro, l’esistenza della provvista necessaria.
Costituisce grave violazione dei principi in tema di diligenza professionale minima richiesta al Notaio per l’esecuzione dell’incarico il non aver compiuto nemmeno i controlli formali dei documenti utilizzati per la costituzione della società, fra i quali, la verifica della genuinità della contabile di pagamento necessaria alla costituzione del capitale sociale.
Il curatore fallimentare che esercita l’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 146 l.f., propone al contempo sia l’azione sociale ex art. 2393 cc, sia quella dei creditori sociali ex art. 2394 cc. Le due azioni si cumulano inscindibilmente, e tuttavia restano ciascuna assoggettata al regime che ad essa è proprio. Da ciò discende che proponendo l’azione sociale di responsabilità, il Fallimento non fa altro che esercitare un diritto rinvenuto nel patrimonio della società fallita: egli subentra nella medesima posizione di questa, identici restando anche l’estensione e i limiti che tale diritto aveva al tempo in cui la società si trovava in bonis. Considerato dunque che laddove il curatore faccia valere un diritto che già era presente nel patrimonio assoggettato al concorso, egli non riveste la qualità di terzo e rimane assoggettato a ogni eventuale patto che vincolava il fallito. La clausola compromissoria è dunque opponibile al curatore del Fallimento, sia pure limitatamente all’azione sociale di responsabilità.
In tema di azioni di responsabilità verso l'organo sindacale, spetta all'attore allegare l'inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all'esistenza di segnali d'allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull'avviso, e, una volta assolto tale onere, l'inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità, restando a carico del medesimo l'onere di dimostrare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutta la prevista gamma di atti (sollecitazioni, richieste, richiami, indagini) sino alle denunce alle autorità civile e penale.

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L’onere della prova dell’illecito anticoncorrenziale grava sulla parte che ne assume l’esistenza
La domanda di nullità di un contratto va sempre proposta nei confronti della controparte negoziale. In caso di cessione del...

La domanda di nullità di un contratto va sempre proposta nei confronti della controparte negoziale. In caso di cessione del credito (anche in blocco, nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione) l’azione deve perciò indirizzarsi verso il soggetto cedente e non verso il cessionario, rimasto estraneo a quel rapporto.

L’onere della prova dell’illecito anticoncorrenziale grava sulla parte che ne assume l’esistenza secondo le regole ordinarie del processo civile, ad eccezione dei casi in cui esso sia stato già oggetto di positivo accertamento da parte dell’autorità amministrativa deputata alla vigilanza sul mercato, potendo in tale caso la parte interessata avvalersi di tale prova privilegiata.

La clausola che stabilisce l’obbligo del garante di pagare “anche in caso di opposizione del debitore”, specie se combinata con la previsione dell’immediatezza del pagamento a fronte di una semplice richiesta scritta da parte del garantito, va intesa in senso analogo all’espressione “senza eccezioni” e deve perciò reputarsi sintomatica della volontà di svincolare la garanzia dal rapporto sottostante, poiché il garante rinuncia in tal modo ad avvalersi della possibilità di sollevare le eccezioni relative al rapporto sottostante.

(nella specie il Tribunale ha respinto la domanda di nullità di fideiussioni omnibus stipulate nel 2012)

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Residualità della domanda di indebito arricchimento e inammissibilità della stessa se proposta in via subordinata
L’azione di ingiustificato arricchimento è contraddistinta da un carattere di residualità che ne postula l’inammissibilità ogni qualvolta, come nel caso...

L’azione di ingiustificato arricchimento è contraddistinta da un carattere di residualità che ne postula l'inammissibilità ogni qualvolta, come nel caso di specie, il danneggiato, per farsi indennizzare del pregiudizio subito, possa esercitare, tanto contro l'arricchito che nei confronti di una diversa persona, altra azione, secondo una valutazione da compiersi in astratto e prescindendo,
quindi, dal relativo esito.

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Imposta di registro nella cessione di quote sociali e ripartizione degli oneri contrattuali
In caso di riqualificazione fiscale di un’operazione negoziale, l’imposta di registro è a carico dell’acquirente, salvo diversa pattuizione contrattuale esplicita,...

In caso di riqualificazione fiscale di un'operazione negoziale, l’imposta di registro è a carico dell’acquirente, salvo diversa pattuizione contrattuale esplicita, in applicazione del principio generale di cui all’art. 1475 c.c. La parte obbligata a sostenere un onere derivante dal contratto non può sottrarsi all’adempimento opponendo il pagamento effettuato da un coobbligato, se tale pagamento è stato effettuato per evitare ulteriori aggravi e con espressa riserva di regresso.
La mancata impugnazione effettiva di un avviso di liquidazione dell’imposta da parte del soggetto obbligato può determinare la definitività dell’accertamento e l’impossibilità di contestare successivamente la natura fiscale dell’operazione.

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Impugnazione di bilancio e operazioni con parti correlate
L’art. 2427, n. 22-bis, c.c., in ossequio alla natura del bilancio come documento contabile di sintesi, limita chiaramente la necessità che...

L’art. 2427, n. 22-bis, c.c., in ossequio alla natura del bilancio come documento contabile di sintesi, limita chiaramente la necessità che siano fornite nella nota integrativa le specifiche indicazioni sull’importo, sulla natura del rapporto e su ogni altra circostanza indispensabile alla loro comprensione, all’ipotesi in cui le operazioni con le parti correlate “non siano state concluse a normali condizioni di mercato”. Nella redazione della nota integrativa gli amministratori non sono, dunque, tenuti a dare compiuta descrizione, secondo le previsioni della norma richiamata, di tutte le operazioni con parti correlate intrattenute dalla società ma solo di quelle che non siano state concluse a condizioni di mercato. Quanto alle “normali condizioni di mercato”all’interpretazione del criterio concorrono le indicazioni di cui al principio contabile OIC 12, che indica quali elementi di valutazione non solo il prezzo, ma anche le motivazioni in base a cui si è concluso l’affare con tale controparte contrattuale piuttosto che con soggetti terzi.

Il socio che propone impugnazione del bilancio sotto il profilo del difetto delle indicazioni dovute in relazione alle operazioni compiute con parti correlate ha innanzitutto l’onere di indicare e descrivere anche in via di massima le singole operazioni della società con parte correlate che non siano state compiute a condizioni di mercato e non può limitarsi genericamente a lamentare la mancanza di informazioni o a sostenere la non veridicità dell’affermazione di inesistenza di operazioni con parti correlate a condizioni fuori mercato. L’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio è, infatti, pur sempre una domanda giudiziale diretta a far valere l’invalidità dell’atto che pone a carico dell’attore l’onere di specifica allegazione dei fatti costitutivi dell’azione e non può essere intesa quale strumento per “indagare” sull’esistenza o meno di operazioni con parti correlate a condizioni fuori mercato. Una volta che il socio impugnate abbia indicato le operazioni con parti correlate censurate diviene, poi, onere della società provare in giudizio, sulla base della documentazione in suo possesso e delle informazioni preventivamente assunte sulle condizioni del mercato a supporto delle sue valutazioni come previsto dall’OIC 12 , la correttezza e completezza delle informazioni diffuse con la nota integrativa. Nell'art. 2427, n. 22-bis, c.c.non c’è traccia del dovere della società di descrivere analiticamente in nota integrativa la totalità delle operazioni compiute con parti correlate per “dimostrare” che siano state concluse a normali condizioni di mercato, mentre l’onere della prova della completezza delle informazioni fornite gravante sulla società nell’ambito del giudizio di impugnazione è circoscritto alle operazioni specificamente censurate dal socio attore attraverso la deduzione specifica delle condizioni di fatto a cui la legge subordina l’insorgere degli obblighi di precisione informativa invocati.

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