In applicazione del principio di buona fede in senso oggettivo al quale deve essere improntata l'esecuzione del contratto di società, la cosiddetta regola di maggioranza consente al socio di esercitare liberamente e legittimamente il diritto di voto per il perseguimento di un proprio interesse fino al limite dell'altrui potenziale danno. Deve pertanto ritenersi che l'abuso della regola di maggioranza (altrimenti detto abuso o eccesso di potere) è, quindi, causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società - per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale - oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza "uti singuli".
Ciò posto, risulta evidente come resti preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che abbiano indotto la maggioranza alla votazione della delibera di scioglimento anticipato della società, essendo insindacabili le esigenze relative all'economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per tale soluzione dissolutiva, se si escludono quell’esercizio "ingiustificato" ovvero "fraudolento" del potere di voto ad opera dei soci maggioritari.
L'art. 8, co. 1, del D.Lgs. n. 28 del 2010 prevede la partecipazione personale delle parti, con l'assistenza del proprio avvocato, al primo ed ai successivi incontri della procedura di mediazione. Considerato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, ciò implica che il Legislatore abbia voluto favorire il dialogo diretto ed immediato tra le parti ed il mediatore al fine di agevolare la composizione satisfattiva della lite, la parte non può limitarsi sic et simpliciter a far comparire solo e soltanto il proprio difensore. Nondimeno, ciò non implica che tale attività non possa essere delegata ad un altro soggetto (anche al rispettivo difensore). Tuttavia, a tale fine, la parte che intenda farsi sostituire è tenuta a rilasciare un'apposita procura che contempli il potere di partecipare alla procedura e quello di disporre dei diritti sostanziali oggetto della lite. Tale procura, inoltre, non può essere autenticata dal difensore, in quanto quest'attività non rientra nei possibili contenuti autenticabili, ai sensi dell'art. 83 c.p.c., dal difensore, ma deve essere autenticata da un Pubblico Ufficiale (quale, ad esempio, un notaio). La violazione di tali prescrizioni comporta che la procedura di mediazione non possa considerarsi espletata, con conseguente improcedibilità dell'azione.
L’aderenza concettuale del nucleo del marchio alla natura dell’attività svolta dalla titolare depone per la sua debolezza laddove la parte non abbia fornito elementi di prova a sostegno dell’asserito rafforzamento della capacità distintiva del proprio marchio a seguito dell’uso che ne è stato fatto nell’ambito territoriale in cui si è svolta negli anni l’attività di impresa, nonché laddove ella si sia invero limitata a richiamare un presunto “secondary meaning” senza però produrre documenti, né articolare mezzi di prova utili a dimostrare un tale assunto.
In presenza di un marchio debole, l’inserimento di piccole varianti o di ulteriori componenti all’interno del segno in comparazione vale a scongiurare o ad attenuare significativamente il pericolo di confusione e di indebita associazione tra i segni.
Quando un segno consiste tanto in elementi figurativi quanto in elementi verbali, non ne consegue automaticamente che sia l’elemento verbale a dover essere sempre considerato come dominante.
L’art.16, comma 6, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 convertito nella legge n. 2/2009 ha previsto l’obbligo in capo a tutte le imprese costituite in forma societaria, di indicare l’indirizzo di posta elettronica certificata nella domanda di iscrizione al registro delle imprese. L’art. 5, comma 2, del decreto legge 18 ottobre 2012, n.179 ha introdotto anche per le imprese individuali attive e non soggette a procedura concorsuale l’obbligo di depositare, presso l’ufficio del registro delle imprese competente, il proprio indirizzo di posta elettronica certificata. Nel periodo successivo si è verificato che la medesima casella pec è stata assegnata a soggetti diversi, e ciò è avvenuto in seguito al mancato rinnovo - dopo la prima scadenza - del contratto con le società di gestione degli indirizzi pec (cd. certification authority) da parte del titolare originario. A tale inconveniente è stato posto rimedio dall’Agenzia per l’Italia digitale con la nota n. 9089 del 18 dicembre 2013 indirizzata ai gestori di pec, con la quale è stato per la prima vola introdotto il divieto di riassegnazione delle caselle di posta elettronica certificata.
Il Ministero dello Sviluppo Economico in data 13 luglio 2015 ha adottato una direttiva con la quale è stato previsto che l’indirizzo di posta elettronica certificata dovesse essere univocamente ed esclusivamente riconducibile alla posizione di un’unica impresa/società. Con tale direttiva il Ministero ha dato indicazione a tutti gli uffici del registro delle imprese di invitare tutte le imprese, diverse da quella che aveva iscritto per ultima il predetto indirizzo, a presentare domanda di iscrizione di un nuovo indirizzo di posta elettronica certificata entro un termine non superiore a dieci giorni. Il Conservatore del Registro delle imprese di Milano, in ottemperanza a tale direttiva, ha individuato n. 579 imprese e società intestatarie di domicili digitali che risultavano da ultimo assegnati anche ad altre imprese o società. La comunicazione di avvio del procedimento di iscrizione d’ufficio nel registro delle imprese della notizia che l’indirizzo di posta elettronica certificata già iscritto non era più riferibile all’impresa, è stato mediante pubblicazione sull’albo camerale online della Camera di Commercio di Milano - ai sensi dall’art. 8, comma 3 della legge n. 241/1990 dal 2 novembre 2017 al 1° dicembre 2017.
Quindi è stato adottato il provvedimento [reclamato nel caso di specie], ovvero il decreto in data 15 dicembre 2017- RG n. 16220/2017, con il quale il Giudice del Registro delle Imprese:
- ha disposto l’iscrizione d’ufficio ex art. 2190 c. c. dell’informazione che, con riferimento a 574 imprese indicate nell’elenco allegato al provvedimento stesso l’indirizzo di posta elettronica certificata già iscritto a loro nome nel registro non fosse ad esse più riferibile;
- ha altresì ordinato che la comunicazione del provvedimento di iscrizione avvenisse nelle forme ex art. 8, comma 3 della legge n. 241/1990, mediante pubblicazione sull’albo online della Camera di Commercio per 7 giorni consecutivi, alla cui scadenza avrebbe iniziato a decorrere il termine di 15 giorni per il reclamo ex art. 2192 cod. civ.. L'iscrizione d’ufficio nel registro delle imprese del suddetto provvedimento (circa la non riferibilità dell’indirizzo PEC già iscritto), ovvero la pubblicazione all’albo camerale online, ai sensi dell’art. 8, comma 3, L. 241/1990, è modalità idonea a garantire la conoscibilità del provvedimento, anche nei confronti dell’impresa destinataria. La successiva iscrizione nel registro di un nuovo indirizzo PEC assegnato d’ufficio rende opponibile alla società, ex art. 2190 c.c., il contenuto del provvedimento presupposto [nel caso di specie il Tribunale ha quindi dichiarato l’inammissibilità del reclamo proposto ex art. 2192 c.c. oltre il termine perentorio di quindici giorni, decorrente dalla data in cui l’impresa era in grado, secondo l’ordinaria diligenza, di avere contezza del provvedimento stesso].
In tema di nomina dell’organo di controllo nelle società a responsabilità limitata ex art. 2477, comma 3, c.c., ai fini del superamento della soglia dimensionale relativa al numero di dipendenti, rilevano esclusivamente i lavoratori subordinati assunti con contratto di lavoro dipendente, in media nel periodo di riferimento. Non assumono rilevanza, a tal fine, i collaboratori autonomi, i professionisti o gli altri soggetti assoggettati a gestione separata INPS, ancorché stabilmente impiegati. Deve pertanto essere revocata la nomina d’ufficio del sindaco unico qualora, sulla base della documentazione prodotta, risulti il mancato superamento dei parametri di legge.
Non può ritenersi sufficiente, ai fini della costituzione in giudizio, il deposito di una procura e la dichiarazione del difensore che la causa viene patrocinata, non già nell’interesse dell’attrice costituita, bensì nell’interesse di un altro soggetto, che è l’unico a rivendicare diritti discendenti dalla proprietà dei beni oggetto di causa.
A differenza di altre clausole presenti nello schema negoziale predisposto dall’ABI – che non comportano un ingiustificato aggravio della posizione del fideiussore in quanto funzionali a garantire l’accesso al credito bancario – le clausole di reviviscenza, sopravvivenza e di rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c. hanno lo scopo precipuo di addossare al fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca, ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa. Pertanto, tali clausole contengono previsioni che, nella misura in cui vengono applicate in modo uniforme, sono in contrasto con la l. 287/1990, art. 1, comma 2, lett. a). La distorsione della concorrenza derivante dall’applicazione uniforme degli artt. 2, 6 e 8 del formulario ABI non è il portato di un contratto tra imprese, ovvero di negozi giuridici consistenti in manifestazioni di volontà tendenti a realizzare una funzione specifica attraverso un particolare voluto, ma di comportamenti “non contrattuali” o “non negoziali” (ricorso a schemi giuridici meramente unilaterali) che hanno la funzione di coordinare verso un comune interesse, le attività economiche.
Quanto al tipo di tutela che l’ordinamento riconosce ai privati che abbiano stipulato fideiussioni “a valle” riproduttive della intesa vietata, quella che consente di assicurare il rispetto degli interessi coinvolti nella vicenda è data dalla nullità parziale, limitata alle sole clausole riproduttive degli artt. 2, 6 e 8 del formulario predisposto dall’ABI. Tale soluzione costituisce applicazione del principio di conservazione degli atti di autonomia negoziale sotteso all’art. 1419, comma 1, c.c. L’estensione della nullità delle clausole riproduttive degli artt. 2, 6 e 8 del formulario ABI all’intero negozio costituisce evenienza di ben difficile riscontro, atteso che la riproduzione di tali clausole ha l’effetto di rendere più gravosa la posizione del garante, mentre la loro eliminazione ha l’effetto di alleggerirne la posizione, cosicché non può seriamente dubitarsi del fatto che il fideiussore, soprattutto se, quale socio della società garantita, interessato all’erogazione del finanziamento, avrebbe concesso la garanzia personale anche senza le clausole nulle. Sotto altro aspetto l’imprenditore bancario, ha interesse a mantenere la garanzia personale delle fideiussioni anche senza le clausole a lui più favorevoli, atteso che l’alternativa sarebbe l’assenza completa della fideiussione, con minore garanzia dei propri crediti.
L’interesse ad agire, sotteso alla domanda di nullità di clausole che riproducano il contenuto degli artt. 2, 6 e 8 del formulario ABI, presuppone che il garante alleghi tempestivamente l’effetto utile derivante dalla disapplicazione delle clausole nulle. [Nel caso di specie il Tribunale ha rilevato che gli attori, pur deducendo in via subordinata la nullità parziale della fideiussione, non avevano eccepito alcuna decadenza della banca ai sensi dell’art. 1957 c.c., applicabile una volta caducata la clausola derogatoria. Conseguentemente, è stato rilevato il difetto di interesse degli attori ad agire per la nullità di tali clausole quale condizione dell’azione ex art. 100 c.p.c. Inoltre, il Tribunale ha rilevato che la banca aveva rispettato il termine di cui all'art. 1957 c.c.]
Il fideiussore che sia socio, anche se di minoranza, della società garantita, non è liberato in caso di mancata preventiva autorizzazione del creditore alla concessione di ulteriore credito, perché, nell’esercizio delle prerogative proprie di componente dell’assemblea (quanto meno in occasione dell’approvazione dei bilanci), ha la concreta possibilità di conoscere la situazione economica e la sua colpevole ignoranza non può giustificare un obbligo sostitutivo di vigilanza in capo alla banca creditrice.
Nelle cause aventi ad oggetto la declaratoria di nullità delle clausole di reviviscenza, sopravvivenza e rinuncia al termine ex art. 1957 c.c. contenute in un contratto di fideiussione omnibus in quanto conformi a quelle contenute nello schema ABI censurato da Banca d'Italia con provvedimento n. 55/2005 per violazione della normativa antitrust, la mancata produzione in giudizio di tale provvedimento non consente la valutazione della fondatezza della pretesa azionata. [Nel caso di specie, le pretese dell'attrice sono state respinte dal Tribunale in quanto essa non aveva prodotto in giudizio tale provvedimento. Peraltro, il Tribunale ha altresì rilevato come la fideiussione contestata fosse stata sottoscritta nel 2016, ossia in un periodo diverso da quello preso in considerazione da Banca d'Italia. Trattandosi, quindi, di causa "stand alone", l'attrice non avrebbe potuto giovarsi del citato provvedimento quale prova privilegiata dell'intesa anticoncorrenziale, ma avrebbe dovuto provare il perdurare della stessa. Infine, il Tribunale ha rilevato come l'attrice non avrebbe ottenuto alcun beneficio concreto dalla caducazione della clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c., posto che essi erano stati rispettati dal creditore].
Deve considerarsi debole il marchio complesso le cui componenti descrittive e figurative presentano un collegamento logico con la natura dei prodotti rappresentati; il loro abbinamento ad un elemento denominativo, avente solo un’assonanza fonetica con i prodotti, è idoneo a rafforzare il collegamento tra la parte denominativa del segno e i prodotti rappresentati [marchio costituito dall’espressione Canapè – Antica Canapa d’Abruzzo e dal disegno di foglie di canapa e di una catena montuosa, per prodotti a base di canapa]; la considerazione della debolezza del marchio si risolve in una tutela attenuata dello stesso, essendo sufficienti lievi variazioni per escluderne la violazione.
Nella valutazione di confondibilità di un’insegna rispetto ad un marchio complesso, il confronto non può avere come termine di riferimento la sola parte denominativa del marchio, comprendente al suo interno anche una componente figurativa, dovendo avere ad oggetto il marchio nel suo insieme, cosicché deve escludersene la confondibilità qualora l’impressione generale suscitata, avuto riguardo anche alle componenti figurative del segno, ritenuto complessivamente “debole”, non sia la stessa.
L'azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori di società di capitali ha natura contrattuale, il che comporta l’onere, in capo all’attore, di provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l'onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi imposti.
In sede di verifica dell'adempimento da parte dell'amministratore al dovere di agire con la dovuta diligenza, comunque non possono essere sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali discrezionali compiute dagli amministratori, sempre che si tratti di scelte relative alla gestione dell'impresa sociale e, pertanto, caratterizzate dall'assunzione di un rischio, quali la cessione del ramo d'azienda in quanto tale, rientrando questa nell’estrinsecazione della libertà di gestione aziendale, ma è consentito denunciarne le modalità, se pregiudizievoli [nel caso in esame è stata individuata la colpa grave degli amministratori nella loro azione sia con riferimento alle modalità di cessione sia con riferimento all’inerzia nell’incasso / recupero del prezzo].
Gli amministratori, tutti, sono chiamati a svolgere, tra le altre, una funzione di vigilanza (cfr. art. 2392, comma 2, c.c.) e rispondono dei danni derivanti alla società dall’omissione al tale dovere. La funzione di vigilanza deve essere svolta con particolare scrupolo dai membri del Consiglio di Amministrazione a cui non sono delegate attività gestorie.
Poiché la legge consente all’amministratore privo di deleghe, in attuazione della propria funzione di vigilanza, di esaminare i documenti relativi all’amministrazione, compiere atti di ispezione, chiedere agli amministratori delegati di riferire in consiglio in merito all’andamento della società, dal mancato compimento di alcuna di queste attività e dal mancato controllo dell'operato dell'amministratore con deleghe da parte degli amministratori non esecutivi, con conseguente mancata limitazione del pregiudizio al patrimonio sociale, consegue la responsabilità solidale di questi ultimi per omessa vigilanza ai sensi degli artt. 2476 e 2392, comma 2, c.c..
Il socio moroso gode dei diritti di informazione tra i quali quello di convocazione, dato che secondo il dettato dell'art. 2466 c.c. non può solo esercitare il diritto di voto ed è quindi interdetto dalla partecipazione alle decisioni assembleari. E' pertanto nulla, ex art. 2479 tre, comma 3, c.c., la delibera assembleare assunta in difetto di convocazione del socio moroso.
Con riferimento al riparto dell’onere della prova, qualora il creditore agisca in giudizio nei confronti del debitore, sia per l’adempimento del contratto che per la risoluzione ed il risarcimento del danno, il creditore deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento [nel caso di specie, un sindaco agiva in giudizio nei confronti della società per ottenere il pagamento delle competenze maturate ed il titolo consisteva nella nomina assembleare con determinazione del compenso].