L’indisponibilità del diritto conteso costituisce l’unico limite posto all’autonomia negoziale nella devoluzione agli arbitri della risoluzione delle controversie nascenti dal vincolo societario e previsto dall’art. 34, co. 1, d.lgs. 5/2003. L’area della non compromettibilità per le impugnazioni di delibere assembleari è ristretta all’assoluta indisponibilità del diritto e, quindi, alle sole nullità insanabili. Sono dunque compromettibili in arbitri anche tutte le impugnazioni per nullità delle delibere assembleari soggette a termini di decadenza, mentre è configurabile l’indisponibilità del diritto solo laddove l’impugnazione riguardi censure relative alla violazione di norme che trascendono l’interesse del socio in quanto tale, coinvolgendo invece interessi dell’intera collettività.
La decisione sull'eccezione di arbitrato va resa con sentenza, posto che non si verte in materia di incompetenza territoriale e non trova quindi applicazione l'art. 38, co. 2, c.p.c.
Il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta della parti, la quale soltanto consente di derogare al precetto contenuto nell'art. 102 Cost., costituendo uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all'art. 24, co. 1, Cost., con la conseguente esclusione della possibilità d'individuare la fonte dell'arbitrato in una volontà autoritativa, e la necessità di attribuire alla norma di cui all'art. 806 c.p.c. il carattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell'intero ordinamento. Ma se è la volontà delle parti a costituire l'unico fondamento della competenza degli arbitri, deve necessariamente riconoscersi che le parti, così come possono scegliere di sottoporre la controversia agli stessi, anziché al giudice ordinario, possono anche optare per una decisione da parte di quest'ultimo, non solo espressamente, mediante un accordo uguale e contrario a quello raggiunto con il compromesso, ma anche tacitamente, attraverso l'adozione di condotte processuali convergenti verso l'esclusione della competenza arbitrale, e segnatamente mediante l'introduzione del giudizio in via ordinaria, alla quale faccia riscontro la mancata proposizione dell'eccezione di arbitrato. Sicché non può giustificarsi l'affermazione della rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza del giudice ordinario, la cui dichiarazione resta pertanto subordinata alla proposizione della relativa eccezione da parte del convenuto. Pertanto, a un soggetto vincolato da clausola compromissoria è sempre consentito adire il tribunale ordinario, il quale rimane competente a decidere la vertenza qualora il convenuto non proponga apposita e tempestiva eccezione, essendo impedito al giudice il rilievo d’ufficio della sussistenza di una clausola compromissoria.
Le controversie in materia societaria possono formare, in linea generale, oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi. In particolare, l’area dell’indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme dirette a garantire la chiarezza, la verità e la precisione del bilancio. Attengono altresì a diritti indisponibili le controversie relative a delibere assembleari aventi oggetto illecito o impossibile, che danno luogo a nullità rilevabile anche d’ufficio, a cui sono equiparate quelle prese in assoluta mancanza di informazione. In tale ultimo ambito, tuttavia, non può essere sussunta né la mancata convocazione di un socio, né la violazione del diritto all’informazione (art. 2429 c.c.), che non costituisce un diritto indisponibile.
L’art. 2479 bis, co. 3, c.c. – che prevede l’impugnabilità nel più ampio termine di tre anni delle delibere assembleari di s.r.l. prese in assoluta mancanza di informazione – deve essere interpretato in linea sistematica con quanto disposto dall’art. 2379 c.c. in tema di nullità delle delibere di s.p.a.; onde il vizio della assoluta mancanza di informazione va riferito al solo procedimento di convocazione dell’assemblea e si risolve, quindi, nel solo caso di mancata convocazione della medesima.
In caso di impugnazione di una delibera assembleare avente ad oggetto l’approvazione del bilancio di esercizio, quandanche introdotta per vizi procedurali, la clausola compromissoria presente nello statuto sociale non può trovare applicazione là dove unitamente agli stessi vizi formali vengano introdotti altri motivi di impugnazione, di natura sostanziale, aventi ad oggetto diritti indisponibili, tali da provocare la necessità di una trattazione congiunta ex art 2378 c.c, sul tenore della giurisprudenza di legittimità per la quale “Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l'impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione. Invero, nonostante la previsione di termini di decadenza dall'impugnazione, con la conseguente sanatoria della nullità, le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell'interesse di ciascun socio ad essere informato dell'andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell'affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell'ente, trascendono l'interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili” (Cass. 20674/2016 e Cass 14465/2019).
La competenza del Tribunale prevale in ogni caso su quella arbitrale quandanche l’impugnazione si fondi solo su vizi formali e prescinda dal merito del documento contabile e del rispetto dei principi di cui all’art 2423 e segg c.c., dal momento che l’art 2378 comma 5 c.c., norma speciale anche rispetto all’art 819 ter c.p.c., stabilisce che tutte le impugnazioni relative alla medesima deliberazione devono essere istruite congiuntamente e decise con unica sentenza.
Nel caso in cui una o più parti abbiano impugnato una delibera di approvazione del bilancio, a cui hanno fatto precedere altre impugnazioni relative agli anni precedenti, l’interesse ad agire degli impugnanti non ne risulta caducato, perdurando l’interesse dei soci ad impugnare, per i medesimi vizi, tutte le delibere di approvazione dei bilanci successive a quella per prima impugnata, e ciò pur considerando l’esistenza nel sistema dell’obbligo degli amministratori ex artt. 2434 bis co 3 c.c. e 2377 co 7 c.c. di rivedere, in conformità al decisum definitivo sull’impugnazione del primo bilancio, non solo il bilancio dell’esercizio in corso, ma anche i bilanci intermedi. Infatti, il socio legittimato ad impugnare il bilancio è portatore di un diritto verso la società a ricevere con il documento contabile informazioni veritiere e corrette e questo diritto è tutelato con la facoltà del socio, attribuita a determinate condizioni, di insorgere contro le delibere che ritiene illegittime; si tratta di una tutela endosocietaria reale affatto diversa da quella che il socio stesso può indirettamente conseguire in forza dell’intervento dell’organo amministrativo tenuto ad adeguarsi all’esito della prima impugnazione. Peraltro, va considerato che il giudizio di impugnazione, se si conclude in senso positivo per il socio impugnante, comporta la caducazione endosocietaria della delibera invalida con efficacia verso tutti i soci ex art 2377 co 7 c.c. e la certezza di questo risultato non è offerta al socio dall’obbligazione dell’amministratore di rettificare i bilanci successivi a quello approvato con la delibera annullata.
L’art. 2429, comma 3, applicabile alle S.r.l. in forza del rinvio dell’art. 2478 bis c.c., stabilisce che “il bilancio, con le copie integrali dell'ultimo bilancio delle società controllate e un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell'ultimo bilancio delle società collegate, deve restare depositato in copia nella sede della società, insieme con le relazioni degli amministratori, dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, durante i quindici giorni che precedono l'assemblea, e finché sia approvato. I soci possono prenderne visione”. In proposito, costituisce giurisprudenza consolidata quella per cui “l’obbligo di deposito del fascicolo di bilancio presso la sede sociale, nei quindici giorni precedenti l’assemblea per la sua approvazione ai sensi dell’art. 2429 co. 3 c.c., è un obbligo – distinto da quello di convocazione dell’assemblea – previsto a pena di annullabilità della delibera assembleare di approvazione del bilancio, a prescindere dalla sua riproduzione nello statuto. La società – nei limiti del proprio apprezzabile ‘sacrificio organizzativo’- deve adempiervi mettendo i soci in condizione di esercitare effettivamente e senza pregiudizio il proprio diritto alla informativa bilancistica preassembleare. Tale diritto può essere compresso soltanto ove tutti i soci espressamente vi acconsentano con l’approvazione di una specifica norma statutaria” (così Tribunale di Milano, sentenza 31 marzo 2021). Ne consegue che quello in commento sia evidentemente un adempimento necessario affinché i soci possano assumere una decisione consapevole in sede di assemblea sul progetto di bilancio predisposto dagli amministratori, la cui prova di aver adempiuto a tale prescrizione, nel giudizio di impugnazione, grava sulla società; in mancanza del rispetto della disposizione normativa ovvero in assenza dell’assolvimento del relativo onere della prova, non può che conseguire l’annullamento della delibera eventualmente impugnata.
È opinione consolidata in giurisprudenza, a dispetto della dottrina, quella per cui le impugnative di bilancio non siano suscettibili di essere ricomprese tra le controversie compromettibili in arbitrato, così come ribadito anche dalla giurisprudenza di legittimità per cui “le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio sono inderogabili in quanto la loro violazione determina una reazione dell'ordinamento a prescindere dalla condotta delle parti e rende illecita e, quindi, nulla, la delibera di approvazione. Tali norme, infatti, non solo sono imperative, ma contengono principi dettati a tutela, oltre che dell'interesse dei singoli soci ad essere informati dell'andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell'affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l'effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell'ente. Ne consegue che, non essendo venuta meno l'indisponibilità dei diritti protetti dalle suddette disposizioni a seguito della riforma di cui al D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 - che agli artt. 2434-bis e 2379 c.c. ha previsto termini di decadenza per l'impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio e, in via generale, per l'impugnazione delle delibere nulle – non è compromettibile in arbitri la controversia relativa alla validità della delibera di impugnazione del bilancio” (così Cass. 12583/2018).
Nel rispetto dei principi contabili, in tema di valutazione di partecipazioni, il metodo del costo storico deve essere preferito qualora la partecipata venga considerata una società con la quale non esiste altro legame se non quello di possedere un titolo per ottenere una remunerazione periodica, mentre quello del patrimonio netto dovrà essere scelto qualora la partecipazione permetta all’investitore di influire sul processo decisionale e quindi sulla politica di gestione della partecipata. In ogni caso, qualunque sia il criterio prescelto, nel rispetto dei principi di prudenza e chiarezza, è obbligatorio procedere alla svalutazione della partecipazione in caso di perdite durevoli di valore, con la differenza che, adottando il criterio del patrimonio netto, è consentito valutare le partecipazioni detenute, se l’andamento aziendale delle partecipate lo consente.
Deve escludersi che dall’invalidità della delibera di approvazione del bilancio ne discenda anche l’invalidità derivata delle delibere di nomina del Consiglio di Amministrazione e di nomina del revisore legale dei conti perché non vi è alcun collegamento diretto tra la prima delibera e queste due successive che mantengono quindi la loro validità ed efficacia.
Deve ritenersi opponibile l’eccezione di patto compromissorio avverso la domanda di pagamento del compenso spettante per la carica di amministratore unico di società a responsabilità limitata, in quanto rispettosa dei dettami statuiti dagli artt. 806 ss. c.p.c. e tenuto conto che la domanda di compenso può senz'altro essere devoluta alla decisione arbitrale, non trattandosi di diritto indisponibile, né di fattispecie rientrante tra le controversie di cui all’art. 409 c.p.c. Infatti, il rapporto che lega l’amministratore alla società è un rapporto di immedesimazione organica, che non può essere qualificato né quale rapporto di lavoro subordinato, non essendovi un assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare di altri, né di collaborazione continuata e coordinata.
La presenza, nel contratto societario, di clausole compromissorie osta all’esaminabilità nel merito delle controversie che possano ritenersi ricomprese nel suo ambito applicativo, producendo il patto compromissorio, da un lato, un effetto positivo consistente nel conferire all’arbitro il potere di decidere la controversia in modo vincolante per le parti e, dall’altro, un effetto negativo consistente nell’impedire la cognizione della medesima controversia da parte dell’autorità giudiziaria.
La clausola statutaria che devolva in arbitri, tra l'altro, le controversie "relative ai rapporti tra società e i propri organi" deve ritenersi inclusiva, ratione subiecti e ratione obiecti, la controversia avente ad oggetto l'azione di responsabilità promossa ex art. 2476 c.c., traendo essa titolo da pretesi fatti illeciti commessi ai danni della società dai relativi amministratori, di diritto e di fatto, e revisori per violazione delle regole di condotta sugli stessi incombenti in ragione dell’incarico e del ruolo svolto. Sebbene una clausola siffatta imponga, in effetti, il requisito dell’inerenza a diritti disponibili con espresso riguardo alle sole controversie tra soci o tra o soci e la società, senza nulla prevedere in proposito con riguardo alle ulteriori controversie devolute agli arbitri, non è superfluo comunque rammentare come, in linea astratta e di principio, nulla osti alla compromettibilità in arbitri delle azioni sociali di responsabilità, concernenti diritti definibili come disponibili, alla luce della loro rinunciabilità da parte della società.
In tema di responsabilità degli amministratori di società, ove la relativa azione venga proposta nei confronti di una pluralità di soggetti, in ragione della comune partecipazione degli stessi, anche in via di mero fatto, alla gestione amministrativa e contabile, tra i convenuti non si determina una situazione di litisconsorzio necessario, attesa la natura solidale della obbligazione dedotta in giudizio che, dando luogo ad una pluralità di rapporti distinti, anche se collegati tra loro, esclude l’inscindibilità delle posizioni processuali, consentendo quindi di agire separatamente nei confronti di ciascuno degli amministratori.
Il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti, la quale soltanto consente di derogare al precetto contenuto nell'art. 102 Cost., costituendo uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all'art. 24, co. 1, Cost., con la conseguente esclusione della possibilità d'individuare la fonte dell'arbitrato in una volontà autoritativa e la necessità di attribuire alla norma di cui all'art. 806 c.p.c. il carattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell'ordinamento. Se è la volontà delle parti a costituire l'unico fondamento della competenza degli arbitri, deve necessariamente riconoscersi che le parti, così come possono scegliere di sottoporre la controversia agli stessi anziché al giudice ordinario, possono anche optare per una decisione da parte di quest'ultimo, non solo espressamente, mediante un accordo uguale e contrario a quello raggiunto con il compromesso, ma anche tacitamente, attraverso l'adozione di condotte processuali convergenti verso l'esclusione della competenza arbitrale e, segnatamente, mediante l'introduzione del giudizio in via ordinaria, alla quale faccia riscontro la mancata proposizione dell'eccezione di arbitrato. Dal momento che il compromesso in arbitrato o la clausola compromissoria possono essere derogate dalle parti anche tacitamente, l’eccezione di arbitrato, in ragione della presenza di una clausola compromissoria nello statuto sociale, deve intendersi quale eccezione di parte in senso stretto e come tale non rilevabile d’ufficio dal giudice, essendo dunque subordinata la dichiarazione di incompetenza alla proposizione della relativa eccezione da parte del convenuto.
L’impugnazione della delibera di messa in liquidazione della società ex art. 2484, n. 6, c.c. e l’azione di responsabilità sociale hanno ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale e sono, pertanto, compromettibili in arbitri. Si tratta, infatti, di domande inerenti a controversie sorte tra i soci, ovvero fra i soci e la società, che non coinvolgono alcun interesse di natura pubblicistica, ma esclusivamente l’interesse dei soci e della società al corretto e ordinato svolgimento dell’attività dell’ente. La delibera di messa in liquidazione della società, d'altra parte, è autonoma e successiva rispetto a quella di approvazione di bilancio, che costituisce un documento con funzioni informative rispetto al quale è ravvisabile un interesse dei terzi alla veridicità, chiarezza e completezza dei dati in esso contenuti, la cui impugnazione non è demandabile alla competenza degli arbitri.
È compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto il riconoscimento in capo al sindaco di una società a responsabilità limitata del compenso a questi riconosciuto per lo svolgimento dell'attività di vigilanza.
La categoria delle controversie societarie aventi ad oggetto diritti indisponibili - che costituiscono l'unico limite posto all’autonomia negoziale nella devoluzione agli arbitri della risoluzione delle controversie nascenti dal vincolo societario - è circoscritta alle controversie che, per effetto della prospettazione in concreto offerta dalle parti, vertono direttamente (e non solo in via mediata) su aspetti implicanti la lesione dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi estranei alla società, protetti da norma inderogabile. Tuttavia, l’area dell’indisponibilità del diritto sostanziale per il suo titolare non coincide con l’inderogabilità della norma tesa a regolarlo. Ne consegue che la controversia relativa alla violazione del diritto del sindaco a percepire il compenso deliberato dall’assemblea ai sensi dell’art. 2402 c.c., anche a ritenere l’inderogabilità della norma che impone all’assemblea dei soci la previsione del compenso per tutta la durata del mandato a tutela dell’indipendenza del sindaco nell’esercizio del ruolo di vigilanza, non involge la violazione di regole generali poste a tutela dei terzi estranei alla compagine sociale, ma solo la lesione di un diritto patrimoniale individuale del componente dell’organo di controllo pienamente disponibile da parte del suo titolare.
La disciplina del computo dei termini di cui all'art. 155, co. 4 e 5, c.p.c., che proroga di diritto, al primo giorno seguente non festivo, il termine che scade in un giorno festivo o di sabato, si applica, per il suo carattere generale, a tutti i termini, anche perentori, contemplati dal codice di rito, anche in tema di introduzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
La clausola compromissoria, contenuta nello statuto di una società, la quale preveda la devoluzione ad arbitri delle controversie connesse al contratto sociale, deve ritenersi estesa alla controversia riguardante il recesso del socio dalla società, sicché il socio, pur receduto, è dunque astretto dal vincolo compromissorio per tutto quanto attiene alle vicende sociali, trattandosi di conflitti che attengono comunque al sodalizio di impresa. La cessazione per qualunque causa del rapporto sociale non comporta l’inapplicabilità nei rapporti tra la società e l’ex socio della clausola arbitrale eventualmente contenuta nello statuto, la quale continua a spiegare i suoi effetti in ordine alle controversie aventi matrice nel contratto sociale, tra le quali devono essere ricompresi i conflitti nascenti dall’esercizio da parte del socio del diritto di recesso.
La controversia attinente alla liquidazione della quota del socio receduto, sebbene sorta successivamente alla sua fuoriuscita dalla compagine sociale, ha ad oggetto un credito che ha la sua fonte nel contratto sociale ed è assoggettata all’efficacia della clausola compromissoria: si tratta, infatti, di contesa attinente alla vicenda estintiva del rapporto sociale rispetto al singolo contraente che, considerata nel suo complesso, a prescindere dall’immediata operatività dello scioglimento del vincolo, ricomprende anche la fase della liquidazione del valore della quota del socio receduto, esaurendosi solo con il pagamento della somma dovuta.